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Epifania: donare il proprio cuore a Dio

Meditazione sul senso dell'Epifania

Autore: San Giovanni Paolo II

1. Nella festa dell’Epifania abbiamo letto il brano del Vangelo di San Matteo, che descrive l’arrivo a Betlemme di alcuni Magi dall’Oriente: “Entrati nella casa videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,11-12).

Abbiamo già parlato un giorno, in questa sede, dei pastori che trovarono il bambino, il nato Figlio di Dio, che giaceva nella mangiatoia (cf. Lc 2,16).

Oggi ancora una volta torniamo a quei personaggi che, come vuole la tradizione, erano tre: i Re Magi. Il testo conciso di San Matteo rende bene ciò che fa parte della sostanza stessa dell’incontro dell’uomo con Iddio: “prostratisi lo adorarono”. L’uomo incontra Dio nell’atto di venerazione, di adorazione, di culto. Giova notare che la parola “culto” (“cultus”) è in stretta relazione con il termine “cultura”. Alla sostanza stessa della cultura umana, delle diverse culture, appartiene l’ammirazione, la venerazione di ciò che è divino, di ciò che solleva l’uomo in alto. Un secondo elemento dell’incontro dell’uomo con Dio, messo in risalto dal Vangelo, è contenuto nelle parole: “aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono…”. In queste parole, San Matteo indica un fattore che caratterizza profondamente la sostanza stessa della religione, intesa insieme come conoscenza e incontro. Un concetto solamente astratto di Dio non costituisce, non forma ancora questa sostanza.L’uomo conosce Dio incontrandosi con lui, e viceversa lo incontra nell’atto della conoscenza. Si incontra con Dio quando si apre davanti a lui con il dono interiore del suo “io” umano, per accettare e ricambiare il suo dono.

I Re Magi, nel momento in cui si presentano davanti al Bambino che si trovava fra le braccia della Madre, accettano nella luce dell’Epifania il dono di Dio Incarnato, la sua ineffabile dedizione all’uomo nel mistero dell’Incarnazione. Nello stesso tempo: “aprirono i loro scrigni con i doni”; si tratta dei doni concreti di cui parla l’evangelista, ma soprattutto aprono se stessi davanti a lui, con il dono interno del proprio cuore. E questo è il vero tesoro da loro offerto, del quale l’oro, l’incenso e la mirra costituiscono solo un’espressione esteriore. In questo dono consiste il frutto dell’Epifania: riconoscono Dio e s’incontrano con lui.

2. Quando medito così, insieme a voi qui riuniti, quelle parole del Vangelo di Matteo, mi vengono in mente i testi della Costituzione Lumen Gentium, che parlano dell’universalità della Chiesa. Il giorno dell’Epifania è la festa dell’universalità della Chiesa, della sua missione universale. Ebbene, nel Concilio leggiamo: “In tutte le nazioni della terra è radicato un solo Popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo Regno, non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo comunicano con gli altri nello Spirito Santo, e così “chi sta in Roma sa che gli indi sono sue membra” (Lumen Gentium, 9).

Siccome, dunque, il Regno di Cristo non è di questo mondo (cf. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il Popolo di Dio, introducendo questo Regno, nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le capacità e risorse e consuetudini dei popoli, in quanto sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e le eleva. Difatti, essa ricorda bene di dover raccogliere con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cf. Sal 2,8), e nella cui città portano i loro doni e offerte (cf. Sal 72,10; Is 60,4-7; Ap 21,24). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il Popolo di Dio, è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell’unità dello Spirito di lui. In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti sono rafforzate, comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per il completamento nell’unità. Ne consegue che il Popolo di Dio… si raccoglie da diversi popoli” (Lumen Gentium, 13).

Qui abbiamo davanti agli occhi la stessa immagine presente nel Vangelo di San Matteo letto all’Epifania; solo è molto più ampliata. Lo stesso Cristo che a Betlemme, come Bambino, ha accettato i doni dei Re Magi, è ancora sempre colui davanti al quale gli uomini e interi popoli “aprono i loro tesori”. I doni dello spirito umano, nell’atto di questa apertura davanti a Dio Incarnato, acquistano un valore particolare, diventano i tesori di varie culture, ricchezza spirituale dei popoli e delle nazioni, comune patrimonio di tutta l’umanità. Questo patrimonio si forma e si allarga sempre attraverso quello “scambio di doni”, di cui parla la costituzione Lumen Gentium. Il centro di quello scambio è lui: lo stesso che ha accettato i doni dei Re Magi. Egli stesso, che è il Dio visibile e incarnato, causa l’apertura delle anime e quello scambio dei doni, di cui vivono non solo i singoli uomini, ma anche i popoli, le nazioni, l’umanità intera.

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