Insegnamenti pratici sopra l'orazione mentale - VII - Parte 1
Sentimenti per meditare la passione
Autore: Autori Vari
L’affetto di ammirazione, è un sentimento interno cagionato dal vedere qualche cosa rara, straordinaria, e che abbia quasi dell’incomprensibile. Sentimento per conseguenza che si eccita con facilità alla considerazione di qualsiasi verità, e mistero di nostra S. Fede, perchè tutti rivestono un complesso di maraviglie; e che in maniera specialissima deve eccitarsi riguardo ai misteri della Passione di Gesù Cristo, siccome quelli in cui maggiormente risplendono le grandezze, e le eccellenze di tutti gli attributi infiniti di Dio.
Ed invero osservate, dilettissimi, quale oggetto di ammirazione non deve essere per noi il vedere tanta e sì copiosa misericordia da parte di Dio, il quale poteva a buon diritto lasciarci tutti miseramente perire; mentre gli eravamo stati ribelli; o almeno, supposto il perdono che voleva Concedere, poteva lasciarci per sempre esclusi dal godimento della sua gloria: il che sarebbe pure stato un grande atto di misericordia infinita. Nulladimeno egli non solo volle perdonare i nostri peccati, ma volle ancora di più rimetterci negli antichi diritti di figliuoli suoi, e di eredi della sua gloria medesima. Gran cosa! Peccarono gli angeli nel paradiso, e non vi fu per essi nè mediazione, nè perdono; ha peccato l’uomo, creatura tanto più vile, ed ha trovato una mediazione ed un perdono sì abbondante, che si può ben dire sotto molti riguardi che esso è divenuto più felice dopo il peccato, che non lo fosse per l’innanzi.
Ma ed in qual modo ci ha Iddio compartito questa misericordia? Ecco un altro motivo degno della più alta maraviglia, scuoprendoci il gran portento dell’infinita carità del nostro Dio. Ah! se tutti gli uomini, tutti gli angeli, tutte le intelligenze possibili fossero convenute insieme per ideare e condurre a termine questa impresa dell’umana redenzione, no, che non si sarebbero potute mai incontrare nelle magnifiche intenzioni che il nostro Dio si era formato, e che compiere voleva a vantaggio nostro! Nessuna mente, dico, avesse pur pensato infiniti secoli su quest’affare, avrebbe mai immaginato che Iddio voleva redimerci dalla schiavitù in cui eravamo caduti, mandando il suo unigenito Figliuolo su questa terra a farsi uomo, ed a pagar per noi quel debito che avevamo contratto colla sua divina giustizia. Non basta, ed oh! quanto deve crescere l’ammirazione di questa carità nel vedere la maniera con cui questo Figliuolo ci fu dato dal divin Padre a redentore! Imperocchè è indubitato che noi potevamo essere redenti e riammessi pienamente nei nostri perduti diritti con una sola preghiera di quest’Uomo-Dio; ciononostante, vedete, atteso l’eccessivo amore, l’infinita carità colla quale siamo stati amati, ecco adempirsi la missione nel modo appunto che abbiam veduto, mediante cioè una serie di patimenti e di dolori indicibili, che andarono a finire colla morte più barbara e spietata di quest’unigenito divin Figlio. O carità veramente ineffabile; spettacolo degno di stupore per tutti i secoli!
La maraviglia crescerà ancora, se passeremo a considerare il nostro merito. Dappoichè se il Signore del cielo riservato avesse tali prove di amore per chi lo meritava in qualche modo, sarebbe certo da maravigliarsene; ma pur si potrebbe addurre una ragione almeno di convenienza. Se avesse patito e fosse morto per salvare creature di condizioni e qualità assai eccellenti, si potrebbe ancora affacciare un certo titolo. Ma ecco la stupenda cosa! Iddio ha amato gli uomini, creature per condizione vilissime, non basta; ma per il peccato più indegne, e le ha amate sino a morire per loro neanche badando che mentre in siffatta guisa le amava, esse l’offendevano, l’odiavano, e gli procuravano la morte colle loro mani; e mentre sapeva e vedeva che avrebbero seguitato ad offenderlo nel modo, medesimo sino alla fine del mondo. Ah! e chi non resterà preso dalla più alta maraviglia nel vedere un Dio amare tanto l’uomo, e far tanto per il bene di lui, quasi questa creatura fosse l’unico tesoro, e l’unica sua felicità! quasi non potesse far a meno di lei! Maraviglia poi che commuove fino alle lagrime un’anima, la quale applica a se stessa questo fatto, come cioè compiuto a suo riguardo soltanto, e come essa sola esistesse al mondo. Quest’anima sente allora il Crocifisso che le parla al cuore, e le dice Figlia mia, diletta mia, per te io patisco quello che tu vedi, e lo patisco volentieri per il solo bene che a te ne proviene. Anzi sappi che se per te sola fosse necessario patir questo, e patir ancora di più, io lo’patirei colla medesima pazienza e col medesimo amore; perché amo tanto, che preferisco il tuo bene a qualunque mio interesse, sia pure il mio onore, il mio sangue, la mia vita. E da ciò vedete, dilettissimi, come per conseguenza un tal affetto di ammirazione può estendersi ancora sulla preziosità dell’anima propria, nel vederla tanto stimata da Dio, e fatta degna di tanto amore; e quindi si avrà motivo di eccitarsi ad un forte sentimento sull’importanza della propria salute, mentre per assicurarla si sono impiegati e spesi da Dio tesori infiniti.
Del resto, ella è cosa evidente che questo affetto di ammirazione deve accompagnare qualunque passo si medita della dolorosa storia della vita del nostro Signor Gesù Cristo; perciocchè in realtà ovunque noi rivolgiamo la considerazione, sia alla persona che patisce, sia alla qualità, e quantità delle pene, sia alle ragioni per cui ha patito, sia al modo con cui le ha tollerate, tutto ha dell’incomprensibile, tutto è capace di rìsvegliare in noi la meraviglia e lo stupore.
L’altro affetto proprio della meditazione di un tanto mistero é la compassione: affetto, come già vi feci notare, che assai facilmente quivi si eccita, per esser troppo naturale al cuor dell’uomo l’intenerirsi alla vista e cognizione di un fatto doloroso. Ora è certo che se vi ha storia capace d’intenerire un cuore ben nato, e di eccitarlo a sentimenti di compassione, ella è questa. Basta dare una semplice occhiata al racconto che ce ne fanno i santi Evangeli per persuadercene. Affinchè peraltro questa compassione verso l’Appassionato Redentore sia buona, e contribuisca ad ottenere il fine per cui nell’orazione mentale si procura di eccitarla, bisogna avvertire che non provenga da un affetto semplicemente naturale, nella guisa che noi compatiremmo una persona afflitta ed addolorata contro sua voglia; poiché così facendo, il nostro pianto si meriterebbe lo stesso rimprovero che Gesù Cristo fece alle figlie di Gerusalemme, quando disse loro: « Nolite fiere super me, sed super vos ipsas flete, et super alios vestros ». Il che a nostro proposito si potrebbe spiegare così: le vostre nostro proposito si potrebbe spiegare così: le vostre lagrime sono da me poco gradite, perchè non procedono dall’amore che mi portate, ma solo dalla compassione naturale che avete nel vedermi così travagliato. Adunque la compassione vostra deve bensì aver per oggetto le pene ed i dolori che ha sofferto Gesù Cristo; ma deve procedere da un sentimento di fede viva, e penetrante, per cui risguardiamo nel tempo stesso le qualità, e le eccellenze della persona che soffre, e la ragione ed il fine per cui soffre. Voglio dire che mentre ci sentiam commossi dalla vista di quei cattivi trattamenti, di quelle ingiurie, di quelle percosse, di quelle ferite, di quella morte cotanto barbara e spietata, a cui il nostro amabilissimo Gesù venne assoggettato, teniamo insieme l’attenzione rivolta sulla nobiltà, innocenza, amabilità, e santità di lui: rimirandolo cioè non come una persona qualunque che patisce quelle cose, ma sibbene come il nostro creatore, il nostro benefattore, ed amico, il nostro padre, il nostro fratello, il nostro unico bene, il nostro tutto; quegli che senza alcuna necessità, ma trasportato dal solo e puro amore verso di noi, si carica volontariamente delle nostre colpe, e si assoggetta a soddisfare a costo di tante pene, e di tanto sangue, per liberar noi dalla morte eterna, che ci eravamo meritati. Ah! sì, che allora le nostre lagrime saranno lagrime buone, lagrime di un cuore amante, e tocco veramente da sincera compassione; ed esse concorreranno a farci acquistare un vero spirito di divozione verso Gesù Appassionato, come avvenne a tanti santi.
Del patriarca S: Domenico si legge, che in fatto di compassione verso le pene di Gesù Cristo era talmente penetrato, che i suoi occhi gli si cangiarono in due fonti di lagrime perenni; e la sola vista di un Crocifisso bastava per fargliele raddoppiare in tanta copia che ne bagnava la terra. Del serafico S. Francesco d’Assisi si narrano pure cose mirabili in questo genere. L’affetto di compassione avealo siffattamente investito che a tutte le ore udivasi scoppiare in gemiti e pianti, e mandare grida lamentevoli, per cui si vedeva obbligato di fuggire la presenza degli uomini, e trovarsi dei nascondigli solitari per dare libertà ai suoi pietosi sentimenti. Colà dentro si sfogava, e dicesi che co’ suoi lamenti avrebbe intenerito le tigri, ed ammollite in certo modo le rupi. Ora volgeasi a parlare con Gesù Cristo, come se l’avesse avuto presente, e gli diceva: « Dunque, mio Gesù, voi siete in croce, ed io non vi sono? Voi siete l’innocenza stessa, e voi soffrite per me colpevole? Ma ed era forse necessario tutto questo per espiare la grandezza de’ miei peccati? Colpe mie, mirate, quale strazio avete fatto sopra la persona del mio Salvatore! Ohimè! non sarebbe stato meglio che io non fossi mai uscito dal nulla?
Ma faceva forse d’uopo tutto questo, o mio amatissimo Gesù, per provarmi che mi amate? Questo è troppo, questo è troppo! Che dici, mio cuore, che dici? Ove troverai tu un amore per corrispondervi? ». Ma udite fin dove giungeva la sublime ed amorosa poesia del poverello di Assisi, che era un’immagine tanto prediletta di Gesù Crocifisso.
Alle volte stupito, come le creature insensibili non fossero penetrate dai suoi stessi sentimenti, e non versassero lagrime sopra la morte del loro Creatore, si rivolgeva ad esse, e parlava. « Uccelli del cielo, diceva, non cantate più, ma gemete; non fate più concerti che non siano lugubri. Grandi alberi che si, in alto portate la vostra testa, abbassatevi, rompete i vostri rami, e convertitevi in tante croci per onorare quella di Gesù. E voi, o rupi, spezzatevi e siate sensibili alla Passione del mio Signore ». Udendo quindi qualche ruscellino d’acqua che scorrea, pensava subito che fossero gemiti e lagrime che si versassero per conformarsi al suo sentimento, e soggiungeva: « Oh! rupi, quanto mi piacete! Siete voi dunque commosse sino alle lagrime? ». Ed alzando poi la voce, gridava: « Sì, sorelle mie, piangiamo »; ed udendo l’eco rispondere piangiamo, raddoppiava egli più fortemente: piangiamo, piangiamo; e subito con sua meraviglia udiva ripercuotersi le stesse parole, piangiamo, piangiamo. Allora batteasi il petto, e diceva: « Oh! Francesco, crudele, ed insensibile; Tu vedi che le pietre per le quali Gesù Cristo non è morto, ti superano nel risentimento della sua morte! » E così per l’affanno perdeva la parola, mentre i suoi occhi si oscuravano per l’abbondanza delle lagrime.
Finalmente per tacere di tante altre anime sante, che si distinsero nella copia di quest’affetto, voi avrete certamente inteso quanto ne fu ripieno il nostro Santo Fondatore. Ben si può dire di lui che succhiasse col latte la più tenere, compassione verso Gesù Appassionato; laonde si notò che fin da giovanetto il mirare un Crocifisso, e piangere, era tutta una cosa stessa. Cresciuto poi negli anni, e fatto religioso sembrò che non sapesse pensare ad altro, nè di altro occuparsi; quindi vedessi spessissimo piangere, e rimanere come affogato dalla pena interna che provava, ed avrebbe voluto che tutti gli uomini gli tenessero compagnia nel compatire i dolori del suo Gesù. « E come! esclamava: non è egli ragionevole che ci risentiamo! Se io andassi a trovare un infermo che giacesse tutto addolorato nel letto, non sarebbe cosa ben fatta che dopo alcune parole di conforto, io mi ponessi al suo fianco in atto compassionevole, e per amore facessi mie le sue pene? Se io fossi assalito dai ladri, ed una persona per salvare me esponesse la sua vita, ricevendo perciò percosse e ferite, non sarei io forse in dovere di trasformarmi nel suo dolore per amore e compassione, e correre a compatirlo, ed a medicarle le piaghe? Ah! ecco il caso nostro, soggiungeva il santo: guardiamo Gesù affogato in un mare di pene per liberare noi dal mare profondissimo della perdizione; e se pure non siamo di sasso, dovremo certamente far nostre per amor compassavo le pene sue, compatirlo in tanti travagli che alla fine ha, sopportato per nostro solo bene, e nostra salute