La conversione dilazionata
“Io me ne vado, voi Mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato” - Omelia
Autore: Santo Curato d'Ars
Sì, fratelli miei, è una grande miseria, una umiliazione profonda per noi, l’essere stati concepiti nel peccato originale, perchè veniamo al mondo come figli della maledizione; è senza dubbio un’altra grande miseria vivere nel peccato; ma morire in esso, è il colmo di ogni sciagura.
E’ vero, fratelli miei, che noi non abbiamo potuto evitare il primo peccato, che è quello di Adamo; ma possiamo benissimo evitare quello nel quale cadiamo del tutto volontariamente, e dopo esservi caduti, possiamo ritrarcene con la Grazia del buon Dio.
Ahimè! possiamo mai restare in uno stato che ci espone a tante sciagure per l’eternità?
Chi di noi non tremerebbe, fratelli miei, ascoltando Gesù Cristo che ci dice che un giorno il peccatore lo cercherà, ma non lo troverà, e che morirà nel suo peccato?
Vi lascio immaginare in quale stato riposa una persona che vive tranquilla nel peccato, essendo la morte così certa, ma il momento così incerto!
Lo Spirito Santo ha quindi ragione di dirci che i peccatori hanno errato in tutte le loro vie, che i loro cuori si sono accecati, che i loro spiriti si sono ricoperti delle tenebre più fitte, e che la loro malizia ha finito per ingannarli e per farli perdere (cfr. Sapienza 5,6-7).
Essi hanno rimandato il loro ritorno al Signore, ad un tempo che non verrà loro accordato, hanno sperato di fare una buona morte, mentre vivevano nel peccato; ma si sono ingannati, perchè la loro morte sarà molto brutta agli occhi del Signore.
Ecco precisamente, fratelli miei, la condotta della maggior parte dei cristiani dei nostri giorni, i quali, vivendo nel peccato, sperano sempre di fare una buona morte, pensando che abbandoneranno il peccato, che ne faranno penitenza, e che ne faranno riparazione prima di essere giudicati.
Ma il demonio li ha ingannati, essi usciranno dal peccato soltanto per essere precipitati nell’inferno.
Per farvi meglio comprendere l’accecamento del peccatore, io vi voglio mostrare:
– che più ritardiamo a uscire dal peccato e a ritornare al buon Dio, più ci mettiamo nel pericolo di perire in esso, poichè, se ne volete conoscere la ragione, più le nostre cattive abitudini sono difficili da interrompere;
– per ogni grazia che disprezziamo, il buon Dio si allontana da noi, noi diveniamo più deboli, e il demonio prende maggiore dominio sopra di noi.
Da ciò io concludo che più noi restiamo nel peccato, più ci mettiamo nel pericolo di non convertirci mai più.
E io dovrei parlare della morte infelice di un peccatore che muore nel peccato, a dei cristiani che già tante volte hanno provato la felicità di amare un Dio così buono, che conoscono, alla luce della fede, la grandezza dei beni che Gesù Cristo prepara a coloro che conserveranno la loro anima esente dal peccato?
Questo linguaggio non converrebbe che a dei pagani, che non conoscono nè Dio, nè le ricompense che Egli promette ai Suoi figli.
O mio Dio! quanto è cieco l’uomo che perde tanti beni e si attira tanti mali, rimanendo nel peccato!
Se io chiedessi a un bambino: «Perchè Dio ti ha creato e ti ha conservato fino ad ora?», egli mi risponderebbe: «Per conoscerlo, amarlo e servirlo e con questo mezzo acquistare la vita eterna».
Ma se gli chiedessi: «Perchè i cristiani non fanno ciò che devono, per conquistare il cielo?», «E’ perchè, mi risponderebbe, essi hanno perso di vista i beni del cielo, e credono di trovare la felicità nelle cose create».
Il demonio li ha ingannati e li ingannerà ancora (è il curato che continua la risposta del bambino; n.d.a.); essi vivono nell’accecamento e vi periranno, sebbene abbiano la speranza che un giorno usciranno dal peccato.
Ditemi, fratelli miei, non vediamo forse ogni giorno persone che vivono nel peccato, che disprezzano tutte le grazie che il buon Dio invia loro: pensieri buoni, buoni desideri, rimorsi di coscienza, buoni esempi, la stessa Parola di Dio?
Sempre nutrono la speranza che il buon Dio li riceverà quando si decideranno a ritornare, ma, queste persone cieche non considerano il fatto che, nel frattempo, il demonio gli sta riservando un posto nell’inferno (finalmente parole di chiara dottrina e non fandonie per accattivarsi la simpatia della gente; n.d.a.).
O accecamento! quanti ne hai gettati nell’inferno, e quanti ne getterai fino alla fine del mondo!
In secondo luogo, io dico che questa considerazione deve fare tremare un peccatore che vive nel peccato, sebbene nutra la speranza di uscirne.
In primo luogo, fratelli miei, voi non siete così poco istruiti, da non sapere che un solo peccato mortale, se ci succede di morire senza essercene confessati, senza averne ottenuto il perdono, fa in modo che siamo perduti per sempre.
In terzo luogo, noi sappiamo molto bene che Gesù Cristo ci dice di tenerci sempre pronti; che ci farà uscire da questo mondo nel momento che meno ce lo aspettiamo; e che se non abbandoniamo il peccato, prima che sia lui (il peccato stesso) a lasciarci, Egli ci punirà senza misericordia.
O mio Dio! Come faremo a vivere in uno stato che ci espone ad ogni istante al pericolo di precipitare nell’abisso!
Se questo, fratelli miei, non è capace di scuotervi, ascoltatemi un momento, o piuttosto, aprite il Vangelo, e vedrete se potete vivere tranquilli nel peccato, come voi fate.
Sì, fratelli miei, tutto fa presupporre che se non uscite prontamente dal peccato, voi perirete: gli oracoli (dei profeti biblici), le minacce, le comparazioni, le immagini, le parabole, gli esempi: tutto vi dice che, o non potrete più convertirvi o ne perderete il desiderio.
Ascoltate lo stesso Gesù Cristo, che dice al peccatore:
«Camminate, fino a che la luce della fede brilla davanti a voi» (cfr. Giovanni 12,35; conosciamo già il modo di citare “a senso” e non alla lettera, del santo curato; n.d.a.).
Abbiate timore che, disprezzando questa guida, non vi smarriate per sempre.
In un altro punto ci dice: «Vegliate e vegliate, senza interruzione», perchè il nemico della nostra salvezza non fa altro che lavorare per la vostra perdizione.
E pregate, pregate senza mai cessare, per attirare sopra di voi l’aiuto del Cielo, perchè i vostri nemici sono molto abili e molto potenti.
Perchè tanti averi, Egli ci dice, perchè tutto questo vivere occupati nelle cose temporali e nei vostri piaceri, dal momemto che, tra qualche istante, dovrete lasciare tutto?
No, fratelli miei, niente di più spaventoso della minaccia che Gesù Cristo fa ai peccatori, dicendo loro che, se essi non vogliono ritornare a Lui, quando offre loro la Sua Grazia, verrà un giorno che essi lo cercheranno e gli domanderanno misericordia; ma, a Sua volta, Egli li disprezzerà, e, per evitare di lasciarsi commuovere dalle loro preghiere e dalle loro lacrime, Egli si tapperà le orecchie e fuggirà via da loro.
O mio Dio! quale disgrazia essere abbandonati da Te!
Oh! fratelli miei, possiamo mai pensare a tutto ciò, senza morire di dolore?
Sì, fratelli miei, se voi siete insensibili a questa parola, vuol dire che siete già perduti.
Ah! povera anima, piangi in anticipo i tormenti che ti si preparano per l’altra vita!
Andiamo ancora oltre, fratelli miei, ascoltiamo lo stesso Gesù Cristo e vedremo se siamo nella sicurezza, rimanendo nel peccato.
Sì, Egli ci dice, verrò come un ladro nella notte, che cerca di sorprendere il padrone di casa, nel momento in cui è sprofondato nel sonno; allo stesso modo, Egli ci dice, la morte arriverà per tranciare il filo della vita criminale del peccatore, proprio nel momento in cui la sua coscienza è carica di crimini, e ha preso la bella decisione di abbandonarli, ma senza purtroppo averlo ancora fatto.
In un altro passo ci dice che la nostra vita passa con tanta rapidità, quanto un fulmine che si lancia da Oriente a Occidente (Matteo 24,27).
Allo stesso modo vediamo il peccatore che, oggi è pieno di vita e di salute, con la testa piena di mille progetti, mentre domani, le lacrime dei suoi parenti annunceranno che egli non appartiene più a questo mondo, che ne è uscito senza mai sapere perchè ci fosse stato e per quale scopo.
Quest’insensato è vissuto da cieco, ed è morto così com’è vissuto.
Gesù Cristo ci dice anche che la morte è l’eco della vita, per mostrarci che colui che vive nel peccato, è quasi certo di morirvi, a meno di un miracolo della Grazia.
Ciò è tanto vero, che leggiamo in una storia, che un uomo aveva fatto del suo denaro il suo dio; quando fu molto malato, si fece portare una cassetta piena d’oro, per avere il piacere di contarlo, e quando non ebbe più la forza di contarlo, gli pose sopra la mano fino a che morì.
Un altro, al quale il suo confessore presentò un Crocifisso, per condurlo alla contrizione dei suoi peccati, cominciò a dire: «Se questo Cristo fosse d’oro, varrebbe molto…».
Ah! no, fratelli miei, il cuore del peccatore non abbandona così facilmente il peccato, per quanto lo si creda.
“Vita di peccatore, morte di rigettato”.
Cosa mai ci vuole dire Gesù Cristo, fratelli miei, con quella parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte, delle quali, le une furono ben accolte, ed entrarono con lo Sposo, mentre le altre trovarono la porta chiusa?
Egli voleva mostrarci la condotta della gente mondana: le vergini sagge rappresentano i buoni cristiani, che si tengono sempre pronti a comparire davanti al buon Dio, in qualsiasi momento le chiami; le vergini stolte, sono immagine dei cattivi cristiani, i quali credono che avranno sempre il tempo di prepararsi e di convertirsi, di uscire dal peccato e di fare delle buone opere.
E così essi trascorrono la loro vita, poi arriva la morte, ed essi non portano con sè nulla di buono.
La morte li colpisce, Gesù Cristo li chiama al Suo Tribunale per fargli rendere conto della loro vita; essi vorrebbero mettere ordine nella loro coscienza, si tormentano, vorrebbero senz’altro lasciare il peccato, ma, ahimè! non hanno nè il tempo nè la forza, e forse nemmeno la Grazia che occorrerebbe.
Quando chiedono a Dio di avere pietà di loro, di usargli misericordia, Egli risponde loro che non li conosce, gli chiude la porta in faccia, cioè li getta nell’inferno.
Ecco, fratelli miei, la sorte di un gran numero di peccatori che vivono tranquilli nel peccato.
Ah! povera anima, quanto sei stata sfortunata a vivere in questo corpo che ti trascina con tanto furore nell’inferno!
Ah! amico mio, perchè vuoi far perdere questa povera anima?…
Che male ti ha fatto, per condannarla a tanta infelicità?…
O, mio Dio, quanto l’uomo è cieco!…
In secondo luogo, dico che noi troviamo nella condotta di Esaù il vero ritratto di un uomo che si perde, vendendo il suo bene per un piatto di lenticchie.
Per qualche tempo, Esaù visse nella più grande insensibilità per la sua perdita (Genesi 25,34), non pensando che a divertirsi e a dedicarsi ai piaceri; tuttavia arriva il momento in cui ricorda l’errore che ha fatto, e rientra in se stesso, e, più riflette, e più scopre la grandezza del suo accecamento.
Tutto desolato per la sua disgrazia, vuole cercare di riparare come meglio può, e si serve di preghiere, di lacrime e di singhiozzi, per cercare di toccare il cuore di suo padre; ma è ormai troppo tardi: il padre ha dato la sua benedizione a un altro, le sue preghiere sono disprezzate e le sue sollecitazioni non sono affatto ascoltate.
Per quanto egli si tormenti, non ottiene nulla; deve arrendersi, restare nella miseria e in essa perire.
Ecco, fratelli miei, precisamente quello che succede ogni giorno al peccatore: egli vende il suo Dio e la sua anima, e il posto che ha in cielo, per molto meno di un piatto di lenticchie, cioè per il piacere di un momento, per un pensiero di odio, di vendetta, per uno sguardo o un toccamento disonesto, su se stesso o su altri, per un pugno di terra o per un bicchiere di vino.
O anima bella, che vieni venduta per sì poca cosa!
Di fatto, noi vediamo che questi peccatori vivono per un certo tempo, così tranquilli, così in pace, almeno in apparenza, come se per tutta la vita non avessero compiuto che opere buone.
Gli uni pensano ai loro piaceri, gli altri ai beni di questo mondo; ma, come per Esaù, arriva il momento che essi riconoscono il loro errore, vorrebbero poterlo riparare, ma è troppo tardi.
Essi versano lacrime, gemono, supplicano il Signore di ridargli i beni che hanno venduto, cioè il cielo; ma il Signore si comporta con loro come il padre di Esaù: Egli dice che ha dato il loro posta a un altro.
Ahimè! questo povero peccatore ha un bel gridare e domandare misericordia, ma deve arrendersi e rimanere nella miseria, e cadere nell’inferno.
O mio Dio! quanto è dolorosa la morte del peccatore agli occhi del Signore!
Ahimè! quanti ce n’è che fanno come lo sciagurato Sisara, che una donna perfida fece addormentare, facendogli bere un po’ di latte, e nel frattempo gli tolse la vita, senza che potesse avere il tempo di piangere sul suo accecamento, per essersi confidato con quella perfida donna (Giudici 4,17-21).
Allo stesso modo, quanti peccatori che la morte rapisce improvvisamente, senza dare loro il tempo di piangere il loro accecamento che li ha fatti restare nel peccato.
Quanti altri che si comportano come l’empio Antioco, che riconoscono i loro crimini, piangono su di essi e implorano misericordia senza potere ottenere nulla, e scendono all’inferno, continuando a chiedere misericordia.
Ecco quindi, fratelli miei, la fine di tanti peccatori.
Senza dubbio, fratelli miei, nessuno di noi vorrebbe fare una morte così disgraziata, e abbiamo ben ragione; ma ciò che mi lascia desolato, è il fatto che voi continuavate a vivere nel peccato, che vi esponevate così fortemente a perire in esso.
Non sono solo io a dirlo, ma è lo stesso Gesù Cristo che ve lo assicura.
Non è forse vero, amico mio, che tu pensi: lasciamo che il prete parli, noi torniamo al nostro tran-tran ordinario.
– Ma lo sai, amico mio, che cosa ti succederà lasciando che il prete parli?
– E che vuoi che ci capiti?
– Amico mio ecco: ti succederà che ti dannerai l’anima.
– Ma io spero di no, penserai, c’è un tempo per tutto.
Amico mio, potremo senz’altro avere il tempo per piangere e per soffrire, ma non per convertirci; e per dimostrartelo, ti citerò un esempio spaventoso.
Si racconta in una storia, che un uomo di mondo, che era vissuto per lungo tempo nel più grande disordine morale, essendosi convertito, perseverò per qualche tempo; ma ricadde nel peccato e non pensò più di ritornare al buon Dio.
I suoi amici non cessavano di pregare per lui, ma egli disprezzava tutto quello che gli si diceva.
Durante quel periodo si annunciò che ben presto ci sarebbe stato un ritiro spirituale.
Si credette che la circostanza fosse propizia, per invitare quel peccatore ad approfittare dell’occasione che il buon Dio gli donava per rientrare nella via della salvezza.
Dopo molte preghiere e suppliche da parete dei suoi amici, e di tante resistenze e rifiuti da parte sua, alla fine acconsentì, e diede la sua parola che si sarebbe recato al ritiro insieme agli altri.
Ma, ahimè! fratelli miei, che cosa accadde?
Oh! giudizio divino, quanto sei impenetrabile e temibile!
Il mattino stesso in cui lo si aspettava, e doveva iniziare il ritiro, fu annunciato che quell’uomo era stato trovato morto nella sua casa, senza conoscenza, senza aiuti e senza sacramenti.
Comprenderemo una buona volta, fratelli miei, che cosa significhi restare nel peccato, illudendoci che un giorno ne usciremo?
Ahimè! fratelli miei, noi abusiamo del tempo quando lo abbiamo, disprezziamo le grazie quando il buon Dio ce le offre; ma spesso il buon Dio, per punirci, ce le toglie proprio quando vorremmo approfittarne.
Se non pensiamo a comportarci bene nel presente, quando poi lo vorremo, forse non lo potremo più.
– Non è forse vero che tu pensi che un giorno ti confesserai, abbandonerai il peccato e farai penitenza?
– Sì, è mia intenzione.
– E’ la tua intenzione, amico mio? E ora ti dico io quello che farai e ciò che sarai. Tu ora sei nel peccato, non vorrai negarlo: ebbene, dopo la tua morte sarai un dannato.
– Ma che ne sai tu? Tu pensa a te stesso.
– Se non lo sapessi non te lo direi. D’altronde, ti dimostrerò che vivendo nel peccato, sebbene nella speranza che ne uscirai, tu non lo farai, nemmeno qualora lo volessi con tutto il tuo cuore; allora comprenderai che significhi disprezzare il tempo e le grazie che il buon Dio ci dona nel momento presente.
Si racconta in un’altra storia, che un certo straniero, passando per Donzenac – questo straniero era della Lorena e di professione libraio – si diresse da un prete perchè ascoltasse la sua confessione; ma il prete si rifiutò, non so per quale motivo.
Da lì si recò in un’altra città chiamata Brives.
Si presentò davanti al procuratore del re e gli disse: «Signore, vi prego di mettermi in prigione, perchè mi sono venduto al demonio da qualche tempo,e ho sempre sentito dire che egli non ha alcun potere su coloro che sono nelle mani della giustizia».
«Amico mio, gli rispose il procuratore del re, tu non sai cosa sia cadere nelle mani della giustizia; quando vi si cade una volta, non se ne esce come si è venuti».
«Non importa, signore, mettetemi in prigione».
Il procuratore capì che doveva essere un folle, e che mettendolo in prigione, lo avrebbe esposto alla pubblica derisione, visto che lui stesso si divertiva a sentirlo parlare.
Nel medesimo tempo vide passare per strada un prete che conosceva, che era il confessore delle Orsoline; lo chiamò e gli disse: «Signore, per favore, prendetevi cura dell’anima di quest’uomo».
Poi lo chiamò e gli disse: «Amico mio, segui questo buon prete e fai tutto ciò che ti dirà».
Quando il prete gli parlò, pensò, come il procuratore, che fosse un po’ svitato; lo pregò di andare altrove, perchè lui non poteva farsi carico del suo comportamento.
Quel povero infelice, non sapendo più che cosa fare, andò presso due comunità per chedere un prete che gli facesse la carità di confessarlo.
In un posto gli dissero che i padri si erano ritirati, perchè dovevano alzarsi a mezzanotte; e in un altro lo fecero parlare con un prete che lo rimandò al giorno dopo.
Ma questo povero miserabile si mise a piangere, dicendogli: «Oh! padre mio sono perduto, se non avrai pietà di me; io mi sono donato al diavolo, e il mio tempo scade questa notte».
«Vai, amico mio, gli dice il padre, raccomandati alla santa Vergine», gli regalò un rosario e lo mandò via.
Passando per la piazza e piangendo per il fatto che non aveva potuto trovare un confessore, tra tanti preti che c’erano nelle due comunità, mentre si trovava sulla piazza, vedendo parecchi borghesi che si intrattenevano insieme, chiese loro se ci fosse qualcuno che avesse la bontà di ospitarlo.
Ci fu un macellaio che gli disse che poteva seguirlo.
Avendolo condotto nella sua casa, questo povero disgraziato gli raccontò quanto fosse stato sciagurato per essersi donato al demonio; e che pensava che avrebbe avuto il tempo di confessarsi, di abbandonare il peccato e fare penitenza, ma che nessun prete aveva voluto confessarlo.
Il macellaio trovò molto strano che quei preti avessero così poca carità.
«Ahimè! signore, rispose quello, io vedo bene che che è stato il buon Dio che lo ha permesso, per punirmi del tempo e delle grazie che ho disprezzato».
«Amico mio, gli disse il macellaio, bisogna assolutamente fare ricorso al buon Dio».
«Ahimè! signore, sono perduto; è proprio questa notte che il demonio deve uccidermi e portare via la mia anima».
Il macellaio, a quanto sembra, non si era coricato, per vedere se quell’uomo fosse uscito di senno, o se quello che diceva fosse vero.
Infatti, verso mezzanotte, sentì un rumore spaventoso, delle grida terribili, come se tra due persone l’una strangolasse l’altra.
Essendo accorso, il macellaio vide che il demonio trascinava questo povero disgraziato nel cortile.
Il macellaio fuggì e si chiuse in casa; e l’indomani trovò quell’uomo appeso come la metà di un montone a un chiodo della macelleria.
Il demonio gli aveva strappato una metà del suo mantello, con cui lo aveva strangolato e appeso.
Il padre Lejeune, che racconta questo fatto in uno dei suoi sermoni, dice che lo ha saputo direttamente da colui che lo vide appeso.
Vedete, fratelli miei, che spesso, rimandando la nostra conversione, ci esponiamo al pericolo di non convertirci mai più.
Non è vero che quando stavate ammalati, avete subito fatto venire un prete per confessarvi, con grande timore di non fare bene la vostra confessione?
Non avevate detto voi stessi, durante la vostra malattia, che si è ben ciechi di aspettare fino alla morte per amare il buon Dio, e che, se vi avesse reso la salute, avreste fatto molto meglio di come avevate fatto prima, e che sareste stati più saggi?
Amico mio, oppure tu, sorella mia, se il buon Dio vi rende la salute…, povero piccolo! voi non badate al fatto che il vostro pentimento non proviene da Dio, nè dal dolore dei vostri peccati, ma soltanto dalla paura dell’inferno (il santo fa dell’ironia bonaria sul fatto che quei propositi non erano sinceri, ma avevano un secondo fine, volevano quasi imbrogliare o adescare il buon Dio, pur di essere guariti; n.d.a.).
Voi fate come Antioco (1 Maccabei 6,8-13), che piangeva per i castighi che i suoi crimini gli attiravano; ma il suo cuore non era cambiato.
Ebbene! sorella mia, il buon Dio ti ha ridato la salute che gli avevi chiesto con tanto ardore, promettendogli che ti saresti comportata meglio.
Dimmi, dopo aver recuperato la salute, sei diventata più saggia? Hai offeso di meno il buon Dio? Ti sei corretta da qualche difetto? Ti si vede più spesso frequentare i sacramenti?
Vuoi che ti dica che cosa sei?
Ecco: prima della tua malattia ti confessavi ancora di tanto in tanto; dopo che il buon Dio ti ha reso la salute, non frequenti nemmeno a pasqua.
Ahimè! quanti di quelli che mi ascoltano sono tra costoro!
Ma non vi preoccupate, vedrete che alla prossima malattia il buon Dio vi farà uscire da questo mondo; per parlarvi più chiaramente, sarete gettati all’inferno.
Vedete bene che restando nel peccato, sebbene coltivando la bella speranza che un giorno ne uscirete, voi vi state prendendo gioco di Dio ( Il santo curato esagera di proposito, com’è solito fare per finalità pedagogiche, s’intende, di una pedagogia del buon senso non di quella, ahimè! dei pedagogisti di professione; comunque non si tratta solo di esagerazioni, perchè vi si coglie l’eco delle parole di san Paolo: « Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato (Galati 6,7)».
Tenete, fratelli miei, vedete se siete nel giusto credendo che il buon Dio vi perdonerà quando vi deciderete a chiedergli perdono.
Sto per citarvi un esempio, del quale nessuno è più adatto al nostro argomento.
Si racconta che vi era un borghese che era estremamente buono.
Egli aveva un domestico che non perdeva occasione di rivolgere insulti al suo padrone; provava piacere a farlo proprio quando c’era molta gente.
Costui gli rubò diverse cose di notevole valore, e finì per corrompere una delle sue ragazze; dopo questo fatto, fuggì di casa, per timore di essere preso dalla giustizia.
Di lì a qualche tempo, andò a trovare un prete, che sapeva che aveva una grande reputazione presso il suo padrone.
Il prete vi si reca per pregare il borghese di voler perdonare le colpe di quel domestico.
Il gentiluomo ebbe tanta bontà, che disse al sacerdote: «Farò tutto ciò che volete; ma voglio che faccia almeno qualche riparazione, altrimenti sarebbe come dare il benvenuto a tutti i mascalzoni».
Il prete, pieno di gioia, va a trovare il servo e gli dice: «Il tuo padrone ha avuto la carità di perdonarti; ma vuole una piccola soddisfazione, com’è del tutto giusto».
Il domestico gli dice: «Qual’è dunque la soddisfazione che vuole il mio padrone, e quando?».
Il prete gli risponde: «Nella sua casa e adesso, in ginocchio e a capo scoperto».
«Ah! il mio padrone pretende tanto onore! Per conto mio, sono disposto solo a chiedergli perdono; egli vuole che si faccia nella sua casa, in ginocchio, col capo scoperto, mentre io voglio farlo in camera mia e coricato nel mio letto. Lui lo vuole subito, ma io voglio che lo si faccia tra dieci anni, allorchè sarò prossimo alla morte».
Cosa pensate, fratelli miei, di questo servo, e cosa ne dite?
Quale consiglio voi avreste dato a quel gentiluomo?
Non gli avreste forse detto: «Signore, il vostro servo è un miserabile, egli merita di essere gettato in una cella, e di non esserne tirato fuori che per essere condotto alla forca?».
Ebbene! fratelli miei, da questo esempio, ricavate la maniera nella quale voi vi comportate con il buon Dio?
Non usate con il buon Dio lo stesso linguaggio, quando dite che avete ancora tempo per convertirvi, che non c’è nessuna fretta, che non siete ancora morti?
Ahimè! poveri peccatori diventati ciechi riguardo allo stato della loro anima; che sperano di fare quello che non potranno più fare, allorchè crederanno di poterlo fare!…
Ma procediamo oltre, e vedremo che più rimandate l’uscita dal peccato, più vi mettete nell’impossibilità di uscirne.
Non è forse vero che da qualche tempo la Parola di Dio vi stava toccando, vi faceva fare qualche riflessione, e che, diverse volte vi eravate risoluti a lasciare il peccato, e a donarvi al buon Dio?
Non è forse vero che il pensiero del giudizio di Dio e dell’inferno, vi ha fatto versare lacrime, e che ora, tutto questo non vi tocca più, non vi fa più fare la minima riflessione?
Perchè succede ciò, fratelli miei?
Ahimè! perchè il vostro cuore è indurito e il buon Dio vi abbandona, di modo che, più restate nel peccato, più il buon Dio si allontana da voi, e più voi divenite indifferenti alla vostra perdizione.
Ah! se almeno foste morti nella malattia precedente, almeno non vi trovereste sprofondati così nell’inferno!
(c’è da immaginarsi che a tali parole dette dal santo, dalla sua ottica soprannaturale, i poveri parrocchiani, abbastanza rozzi, si siano muniti di qualche forma di scongiuro; n.d.a.).
– Ma se io volessi ritornare al buon Dio nel momento presente, il buon Dio mi riceverebbe ancora ben volentieri! (a parlare è un ipotetico interlocutore; n.d.a.).
– Amico mio, su questo non so che dirti. Se tu non fossi giunto al colmo del numero di peccati che il buon Dio ha deciso di perdonarti; se tu ancora non avessi finito di disprezzare tutte le grazie che il buon Dio ti aveva destinato, allora forse lo potresti (il pensiero, nella foga oratoria e non solo, del santo curato, sembra un po’ contorto: egli vuol dire, verosimilmente, che ciò che l’interlocutore aveva detto sulla possibilità ancora aperta che Dio lo perdoni di nuovo, può forse verificarsi; a meno che l’interlocutore abbia ancora “altre grazie da poter disprezzare”, detto ironicamente; n.d.a.).
Ma se la misura dei peccati e delle grazie fosse ormai esaurita, per te è tutto perduto; avresti un bel da fare a formulare tutte le tue belle risoluzioni…
D’altronde lo potrai constatare da questo esempio spaventoso che sto per riportarti.
Ah! mio Dio, possiamo pensare a tutto ciò e non fare tutto quello che possiamo per vedere se il buon Dio vorrà avere pietà di noi?
– Ma, pensate dentro di voi, farai certo di tutto per gettarci nella disperazione! (il santo, sicuramente per esperienza, sa che i suoi parrocchiani lo accusavano di eccessiva severità e di un certo pessimismo, come si deduce anche dalle biografie; n.d.a.).
– Ah! amico mio, vorrei condurti soltanto a due dita dalla disperazione, affinchè, colpito dallo stato terribile in cui ti trovi, tu assumessi almeno i mezzi che il buon Dio ti presenta ancora oggi per uscirne.
– Ma, mi direte, ci sono stati tanti che si sono convertiti al momento della morte: il buon ladrone si è certo convertito in quel momento.
– Il buon ladrone, fratelli miei, anzitutto non aveva mai conosciuto il buon Dio. Appena lo ha conosciuto si è donato a Lui, e inoltre, è il solo esempio che la Sacra Scrittura ci fornisce, per non farci affatto disperare in quel momento (della morte).
– Ma ce ne sono tanti altri che si sono convertiti, sebbene fossero vissuti per lungo tempo nel peccato.
– Amico mio, stai molto attento, io credo proprio che ti sbagli: puoi dirmi che molti si sono pentiti, ma convertiti è un’altra cosa.
E’ precisamente ciò che farai e che hai già fatto durante la tua malattia: hai fatto venire il prete, perchè eri preoccupato che stavi male.
Ebbene! dopo quel pentimento, ti sei poi convertito davvero? Senza alcun dubbio, ti sei indurito di più!
Ahimè! fratelli miei, tutti questi pentimenti non significano un gran che.
Saul si è di certo pentito, perchè ha pianto sui suoi peccati (1 Re 15), tuttavia si trova all’inferno.
Giuda si è di certo pentito, poichè andò a restituire il suo denaro, e il suo dolore fu così grande che andò ad impiccarsi.
Se adesso mi domandate dove tutti questi pentimenti li hanno condotti, io vi risponderò…, all’inferno!
Ritorno sempre alla stessa conclusione, e cioè che se vivete nel peccato, e morite in esso, voi ritroverete dannati; anche se io spero di no: spero che non vi andiate.
In terzo luogo, se andiamo oltre, vi mostrerò che non avete nulla che possa rassicurarvi nel vostro modo di vivere; al contrario, tutto vi deve incutere timore, come state per vedere.
Anzitutto, sapete che, da voi stessi, non potete uscire dal peccato; siete perfettamente convinti che bisogna che il buon Dio vi aiuti con la Sua Grazia, poichè san Paolo ci dice che «noi non siamo capaci di formare neppure un solo pensiero buono, senza la Grazia del buon Dio (2 Corinzi 3,5)».
Inoltre voi sapete bene che non potete ottenere il perdono se non da Dio stesso.
Pensate bene, fratelli miei, a queste due riflessioni, e vedrete quanto siete ciechi; o, per parlarvi più francamente, come siete perduti se non uscite prontamente dal peccato.
Ma, ditemi, è forse disprezzando le grazie del buon Dio che voi potete sperare di ottenere maggiore forza per spezzare le vostre cattive abitudini?
Non è forse tutto il contrario?
Più voi continuate e più meritate che il buon Dio si ritiri da voi e vi abbandoni.
Da questo concludo che, più ritardate a ritornare a Dio, più vi mettete nel pericolo di non convertirvi mai più: diciamo che noi non possiamo ottenere il perdono se non da Dio solo.
Ebbene! ditemi, forse che moltoplicando i vostri peccati, voi sperate che il buon Dio vi perdoni più facilmente?
Avanti, amico mio,tu sei cieco, tu continui a vivere nel peccato per perire in esso, e per questo ti dannerai.
Ecco, amico mio, dove ti condurrà il tuo modo di pregare e di vivere: «Vita di peccatore, morte da dannato!».
Ma per farvelo meglio comprendere, avanziamo insieme verso quel momento che è l’ultimo della vita.
Anzitutto, io so bene che avete deciso di fare una buona morte, di convertirvi e di abbandonare il peccato.
Andiamo, fratelli miei, vicino a un tale, a un moribondo, e vi troveremo una persona distesa (sul letto di morte), che per tutta la vita ha fatto come voi, è vissuta nel peccato; ma sempre nella speranza che ne sarebbe uscita, prima di morire.
Esaminatela bene, considerate bene il suo pentimento, il suo dolore, la sua confessione e la sua morte.
Poi vedete ciò che voi siete ora e considerate quello che sarete un giorno.
Fratelli miei, non allontaniamoci dal letto di questo moribondo, prima che la sua sorte si sia fissata per sempre (nella mente).
Egli si è ripromesso ogni giorno, pur vivendo nel peccato e in mezzo ai piaceri, che avrebbe fatto una buona morte, e che avrebbe riparato a tutto il male che aveva fatto durante la vita.
Scolpite ciò nei vostri cuori, affinchè non ne perdiate mai il ricordo, e abbiate sempre davanti agli occhi quale sarà la vostra sorte.
Vi dirò anzitutto che, durante tutta la sua vita, egli è stato trattenuto da ostacoli che egli credeva insormontabili.
Il primo ostacolo era che egli pensava di non poter abbandonare le sue cattive abitudini; l’altro, che egli non aveva abbastanza forze e grazia.
Egli comprendeva molto bene, sebbene immerso nel peccato, quanto gli sarebbe costato, quanto fosse difficile fare una buona confessione e riparare un’intera vita che non era stata altro che una catena continua di crimini e di orrori.
Intanto il tempo arriva e lo incalza; bisogna cominciare a fare ciò che egli non ha mai voluto fare, occorre scendere in quel cuore che non è altro che un abisso di orrori, simile a un cespuglio irto di spine così spaventose, che non si sa da dove cominciare, e che si finisce per lasciarlo così com’è.
Ma la conoscenza si perde di tanto in tanto; tuttavia egli non vorrebbe morire in questo stato.
Vorrebbe convertirsi: ossia abbandonare il peccato prima di morire.
Io so bene che morirà; ma, quanto a convertirsi, non lo credo per niente: bisognerebbe fare adesso, quello che avrebbe dovuto fare quand’era in salute.
Nell’impossibilità di farlo, con le lacrime ag
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