L'Avvento con Sant'Agostino - I settimana
Autore: Autori Cristiani
I Settimana di Avvento
Vieni, Signore Gesù!
“Perciò anche voi state pronti,
perché nell’ora che non immaginate,
il Figlio dell’uomo verrà”.
(Mt 24, 44)
Il parallelismo tra una venuta nell’umiltà ed una nella gloria di Gesù Cristo è un tema caro ad Agostino, che ritorna in altre omelie (per es. i sermoni 17, 18, 22) e nel commento al Salmo 49. Sebbene non sia in connessione stretta con il tempo di Avvento, tuttavia ne illustra l’attesa escatologica del popolo di Dio, che, come la prima comunità cristiana, vive in una tensione positiva verso il compimento della storia con la definitiva apparizione di Cristo giudice. All’umiltà e alla sottomissione del primo avvento, corrisponderà il trionfo e il dominio di Cristo sull’universo. Tra i due poli non si frappone un vuoto: vi è sempre la presenza di Cristo nella storia dell’umanità, attraverso la Parola e i Sacramenti che Egli ha affidato alla Chiesa.
Dal “Commento al Vangelo di Giovanni” di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 4, 1-2)
La duplice venuta del Figlio di Dio
La prima volta [Cristo] è venuto umile ed occulto; e tanto più occulto quanto più umile. Ma i popoli, disprezzando nella loro superbia l’umiltà di Dio, misero in croce il loro Salvatore e ne fecero il loro giudice.
Ma colui che è venuto la prima volta in modo occulto, in quanto è venuto nell’umiltà, non dovrà forse venire poi in modo manifesto, nella sua gloria? Avete ascoltato poco fa il salmo: Dio, il nostro Dio, verrà in modo manifesto e non tacerà (Sal 49, 3). Ha taciuto per consentire che lo giudicassero, ma non tacerà quando comincerà a giudicare. Non avrebbe detto il salmista: verrà in modo manifesto, se prima non fosse venuto in modo occulto; né avrebbe detto: non tacerà, se prima non avesse taciuto. In che senso ha taciuto? Ascolta Isaia: Come pecora fu condotto al macello e come agnello muto davanti a chi lo tosa, non ha aperto bocca (Is 53, 7). Ma verrà in modo manifesto e non tacerà. Quale sarà questo modo manifesto? Lo precederà il fuoco e sarà accompagnato da una potente tempesta (Sal 49, 3). Quella tempesta dovrà spazzare via dall’aia la paglia, che adesso viene battuta, e il fuoco consumerà quanto la tempesta avrà portato via. Egli ora tace; tace quanto al giudicare, ma non tace quanto al dar precetti. Se infatti Cristo tacesse del tutto, che senso avrebbero questi Vangeli, la voce degli Apostoli, il canto dei Salmi, gli oracoli dei Profeti? Tutte queste cose, infatti, dimostrano che Cristo non tace. Egli ora tace, in quanto non castiga; non tace, in quanto ammonisce. Verrà un giorno nella sua terribile potenza e si mostrerà a tutti, anche a quelli che non credono in lui. Allora invece era necessario che, pur presente, rimanesse occulto tanto da poter essere disprezzato. Se non fosse stato disprezzato, non sarebbe stato crocifisso; se non fosse stato crocifisso, non avrebbe versato il suo sangue, che fu il prezzo della nostra redenzione. Per pagare il prezzo della nostra redenzione egli fu crocifisso; e fu disprezzato per poter essere crocifisso; e apparve nell’umiltà affinché lo disprezzassero.
“Quando Cristo verrà e busserà alla porta
ci trovi vigilanti nella preghiera,
operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode”.
(Colletta, Lun. I di Avvento)
La venuta di Cristo nella storia e, in modo particolare, nella nostra vita non è prevedibile: non si può calcolare. Pertanto è necessario essere sempre pronti così da non farsi sorprendere. Quei servi che, nella preghiera e nell’attesa vigilante, avranno svolto il proprio dovere di servi, senza arrogarsi la presunzione di sostituirsi al proprio Padrone, otterranno il riconoscimento di una condizione di beatitudine e godranno di una particolare predilezione del Signore (Cf Lc 12, 37-38).
Dalle “Esposizioni sui Salmi” di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 120, 3)
Vigili ed operosi in attesa della venuta di Cristo
Siete certamente persuasi che l’ora del Signore viene come un ladro di notte. Se il padrone di casa sapesse l’ora in cui il ladro viene, in verità vi dico, non permetterebbe certo che la parete della sua casa venisse sfondata (Mt 24, 43). Voi osservate: Ma se la sua ora viene come il ladro, chi potrà sapere quando verrà? Se non sai a che ora viene, sta’ sempre desto affinché, non sapendo l’ora in cui viene, ti trovi sempre pronto alla sua venuta. Anzi, il non conoscere l’ora della sua venuta mira forse proprio a questo: a farti stare sempre pronto. Se quel padrone di casa fu sorpreso dal giungere improvviso dell’ora, fu perché si trattava – almeno così è presentato – di un padrone superbo. Non voler essere un padrone e l’ora non ti prenderà alla sprovvista. Ma cosa dovrò essere?, chiederai. Una persona come quella descritta nel salmo: Io sono povero e dolente (Sal 68, 30). Se sarai povero e dolente, non sarai un padrone che l’ora, venendo repentina, sorprenderà e repentinamente abbatterà. Padroni di questo tipo sono tutti coloro che, facendo assegnamento su se stessi e le proprie cupidigie, diventano gonfi d’orgoglio, anche se poi finiscono con lo squagliarsi nelle delizie di questo mondo. Essi si innalzano a danno degli umili e maltrattano i santi, che hanno compreso essere stretta la via per la quale si va alla vita (Mt 7, 14). Gente siffatta verrà colta di sorpresa da quell’ora, somigliando nella loro vita a quei tali che vivevano all’epoca di Noè. Ne avete udita or ora la descrizione fatta dal Vangelo. Dice: La venuta del Figlio dell’uomo sarà come ai giorni di Noè. Mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, piantavano vigne, costruivano case, fino a che Noè non entrò nell’arca e venne il diluvio che li disperse tutti (Mt 24, 37-39; Lc 17, 26-27). Che dire? Andranno davvero tutti in rovina coloro che fanno queste cose? Coloro che si maritano o prendono moglie? Coloro che piantano vigne o costruiscono case? No, ma vi andranno coloro che tali cose sopravvalutano, che le preferiscono a Dio e per esse sono disposti a offendere disinvoltamente Dio. Diametralmente opposti sono coloro che di tutte queste cose o non si servono per nulla o se ne servono come persone non asservite ad esse. Fanno assegnamento più sull’Autore dei doni ricevuti che non sulle cose ricevute in dono; e, quanto alle cose in se stesse, vi vedono un tratto della sua misericordia che viene a consolarli. Per cui non si appagano dei doni per non precipitare lontano dal Donatore. Persone di questo genere non saranno prese alla sprovvista dal giungere di quell’ora, che sarà come il giungere di un ladro. A loro diceva l’Apostolo: Voi non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno vi abbia a sorprendere come un ladro, poiché siete tutti figli della luce e figli del giorno (1 Ts 5, 4-5).
“Io ti rendo lode, o Padre,
hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti
e le hai rivelate ai piccoli”.
(Lc 10, 21)
I poveri in spirito, di cui parlano le Beatitudini, sono per Agostino gli umili. La povertà è propria di chi non si gonfia, non insuperbisce al punto tale da stravolgere il giusto rapporto tra l’uomo e Dio, tra il Creatore e la creatura. L’umile è chi riconosce la propria dipendenza da Dio, chi ammette di non essere luce a se stesso, ma attende la luce divina. Agostino ammonisce: la superbia è sempre in agguato, pronta ad inficiare anche la bontà delle nostre azioni, allorché le attribuiamo solamente alle capacità umane, escludendo la grazia di Dio.
Ad indicarci la via dell’umiltà è il Maestro dell’umiltà, Gesù Cristo, il quale già con l’Incarnazione ha sperimentato la sua prima grande umiliazione, che giungerà ai massimi livelli sulla croce: Questo conviene credere e ritenere di cuore, con fermezza e senza vacillamenti: che l’umiltà per la quale Dio nacque da una donna e fu messo a morte dai mortali attraverso tanti obbrobri è il sommo rimedio con il quale si guarisce il tumore della nostra superbia e l’alto sacramento con il quale si infrange il vincolo del peccato. (De Trinitate 8, 5, 7)
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 67, 5.8)
L’umiltà, via privilegiata per accedere al mistero di Gesù
Ascolta dunque il Signore che “confessa”: Confesso a te, Padre, Signore del cielo e della terra. Che cosa “confesso”? Per che cosa ti lodo? Quest’azione di “confessare” ha – come ho detto – il significato di lode. Perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli (Mt 11, 25). Che vuol dire ciò, fratelli? Dovete intenderlo nel senso contrario: Hai nascosto queste cose – dice – ai sapienti e agli intelligenti; ma non dice: “Le hai fatte conoscere agli stolti e agli stupidi”, ma dice: Le hai nascoste, bensì, ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli. Ai superbi e agli intelligenti degni d’essere derisi, agli arroganti falsamente grandi, ma in verità gonfi di sé, oppose non gli stolti né gli stupidi, ma i piccoli. Chi sono i “piccoli”? Gli umili. Ebbene: Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti. Egli stesso spiegò che sotto il nome di “sapienti e intelligenti” s’intendono i superbi, quando dice: E le hai fatte conoscere ai piccoli. Dunque: “Le hai nascoste a coloro che non sono piccoli”. Che significa “ai non piccoli”? Significa: “ai non umili”. E che significa “ai non umili” se non “ai superbi”? O via del Signore! O non c’era o era nascosta perché fosse fatta conoscere a noi! Perché il Signore esultò? Perché essa è stata rivelata ai piccoli. Dobbiamo essere piccoli, poiché se vorremo essere grandi, ritenendoci sapienti e intelligenti, non ci sarà rivelata. Chi sono i grandi? I sapienti e gli intelligenti. Affermando d’esser sapienti, son diventati stolti (Rom 1, 22). Hai un rimedio nel contrario. Se, affermando d’essere sapiente, diventi stolto, chiamati stolto e sarai sapiente. Ma dillo sul serio, dillo nel tuo intimo, poiché è come tu dirai. Se lo dici, non dirlo davanti alla gente e non tacerlo davanti a Dio. Per quanto riguarda te stesso e le tue facoltà, sei del tutto pieno di tenebre. Che cos’altro infatti è essere stolto, se non essere tenebroso nel cuore? Così in effetti di essi la Scrittura afferma: Dicendo d’essere sapienti son divenuti stolti. E prima di fare quest’affermazione, che cosa dice d’altro? E il loro cuore stolto si ottenebrò (Rom 1, 21). Tu devi dire che non sei luce a te stesso. Al massimo sei un occhio, non sei luce. A che giova un occhio aperto e sano, se manca la luce? Di’ dunque che la luce non proviene da te e grida ciò che dice la Scrittura: Tu, o Signore, darai luce alla mia lampada; con la tua luce, Signore, illuminerai le mie tenebre (Sal 17, 29). Io non sono altro che tenebre, tu invece sei la luce che fuga le tenebre e che m’illumina; luce per me che non si sprigiona da me, bensì luce ch’è parte di quella che proviene da te.
“Gesù prese i sette pani e i pesci,
rese grazie, li spezzò, li diede ai discepoli
e i discepoli li distribuivano alla folla.
Tutti mangiarono e furono saziati”.
(Mt 15, 36-37)
Agostino pronuncia il Discorso 56 durante il tempo pasquale, per esporre ai candidati al battesimo il significato del simbolo di fede (il nostro Credo) e la preghiera del Padre Nostro, detta anche orazione domenicale, perché insegnata dal nostroDominus, dal Signore Gesù. Ai catecumeni, che una volta esaminati ed approvati saranno ammessi al battesimo nella notte della veglia di Pasqua, il vescovo di Ippona offre un’interpretazione allegorica della petizione riguardante il “pane quotidiano”: con essa non chiediamo a Dio solo il necessario per la vita corporale, ma anche quanto ci è indispensabile per il nutrimento dell’anima: la Parola di Dio e il pane eucaristico.
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 56, 6.9-10)
Il nutrimento del corpo e dell’anima
Quando dici: Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6, 11), confessi d’essere un mendicante di Dio. Ma non arrossire: per quanto uno sia ricco sulla terra, è sempre un mendicante di Dio. Il mendicante sta davanti alla casa d’un ricco: ma anche lo stesso ricco sta davanti alla casa del gran Ricco. Si chiede l’elemosina a lui, ma la chiede anche lui. Se non fosse nel bisogno, non busserebbe alle orecchie di Dio con la preghiera. Ma di che cosa ha bisogno un ricco? Non ho paura di dirlo: un ricco ha bisogno proprio del pane quotidiano. Perché mai ha abbondanza d’ogni cosa, come mai, se non perché gliel’ha data Dio? Che cosa avrebbe, se Dio ritirasse da lui la sua mano? Molti non si addormentarono forse ricchi e si alzarono poveri? E se a lui non manca nulla, ciò non deriva dalla sua potenza, ma dalla misericordia di Dio.
Ma questo pane di cui, carissimi, si riempie il ventre, con cui si ristora ogni giorno il corpo, questo pane dunque voi vedete che Dio lo dà non solo a chi lo loda, ma anche a chi lo bestemmia, lui che fa sorgere il proprio sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Cf. Mt 5, 45). Se lo lodi, ti nutre; se lo bestemmi, ti nutre lo stesso. Ti aspetta perché tu faccia penitenza; ma se non ti cambierai, egli ti condannerà. Poiché dunque questo pane lo ricevono da Dio i buoni e i cattivi, non c’è forse un pane speciale richiesto dai figli, il pane di cui il Signore diceva nel Vangelo: Non sta bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani? (Mt 15, 26) Vi è certamente. Qual è questo pane? E perché si chiama “quotidiano” anche questo? Il pane infatti ci è necessario: senza di esso è impossibile vivere, senza pane è impossibile. E’ una sfacciataggine chiedere a Dio la ricchezza; non è una sfacciataggine chiedergli il pane quotidiano. C’è una gran differenza tra ciò che è necessario alla vita e ciò che serve a farci insuperbire. Tuttavia, siccome questo pane visibile e palpabile viene dato ai buoni e ai cattivi, il pane quotidiano chiesto dai figli è la parola di Dio, pane che ci viene distribuito ogni giorno. E’ il nostro pane quotidiano; di esso vivono le menti, non i ventri. E’ necessario a noi, ancora operai nella vigna: è il cibo, non la paga. All’operaio infatti due cose deve dare chi lo prende a giornata e lo manda nella propria vigna: il cibo perché non rimanga spossato, e la paga di cui si rallegri. Il nostro cibo quotidiano su questa terra è la parola di Dio, che sempre viene distribuita nelle chiese; la nostra paga dopo la fatica si chiama vita eterna. D’altra parte se per questo pane nostro quotidiano s’intende quello che ricevono i fedeli e riceverete anche voi dopo il battesimo, facciamo bene a pregare e dire: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, affinché viviamo in modo da non essere separati dall’altare.
“Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica,
è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia”.
(Mt 7, 24)
L’ascolto della Parola di Dio non può lasciare indifferenti né tantomeno inoperosi. Esso invita all’azione, ad edificare la propria vita sul fondamento di Cristo, la Roccia stabile. Dirsi cristiani è ben poca cosa; occorre esserlo e dimostrarlo nella vita concreta. (Cf Sermo 9, 21)
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 179, 8-9)
Gli ascoltatori della Parola
Non ingannate voi stessi, fratelli miei, che pure siete venuti con desiderio ad ascoltare la parola; se non mettete in pratica ciò che avete ascoltato, smentendo voi stessi. Considerate che, se è attraente l’ascoltare, quanto più il realizzare. Se non ascolti, se trascuri di ascoltare, non edifichi nulla. Se ascolti e non metti in pratica, metti mano ad una rovina. A questo riguardo è stata offerta da Cristo Signore una similitudine perfettamente rispondente. Egli dice: Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica lo rassomiglierò ad un uomo saggio che edifica la propria casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde. Perché non cadde? Perché era fondata sulla roccia (Mt 7, 24-25). Ne segue che ascoltare e mettere in pratica equivale ad edificare sulla roccia. L’ascolto stesso è appunto un edificare. Chi invece – dice – ascolta queste mie parole e non le mette in pratica lo rassomiglierò ad un uomo stolto che edifica. Anche costui edifica. Che cosa edifica? Questo: Edifica la propria casa; ma per il fatto che non mette in pratica ciò che ascolta, pur ascoltando edifica sulla sabbia (Mt 7, 26). Insomma, edifica sulla sabbia chi ascolta e non mette in pratica; sulla roccia chi ascolta e mette in pratica. Chi non ascolta affatto non edifica né sulla roccia, né sulla sabbia.
Quale necessità ho di ascoltare ciò che non intendo fare? – dice allora qualcuno. Ascoltando infatti e non mettendo in pratica – dice – io metterò mano ad una rovina. Non è più sicuro non ascoltare affatto? In realtà, nella similitudine da lui proposta, il Signore non volle toccare questo caso, ma lo diede ad intendere. Infatti, in questa vita non hanno tregua la pioggia, i venti, i fiumi. Non edifichi sulla roccia, per non farti precipitare, se vi si abbattono? Non edifichi sulla sabbia nell’intento che, venendo, non mandino in rovina la casa? In conseguenza, resterai così, senza il riparo di alcun tetto se nulla ascolti. Viene la pioggia, straripano i fiumi; sei forse più sicuro per il fatto di essere trascinato via privo di tutto? Considera dunque quale parte vai a scegliere. Non ascoltando, non sarai sicuro, come credi; privo di ogni riparo è di necessità che tu sia sepolto, asportato, sommerso. Pertanto, se è un male edificare sulla sabbia, è anche un male non edificare affatto; altro non resta di bene che edificare sulla roccia. Non ascoltare è quindi un male; ascoltare e non mettere in pratica è un male: rimane l’ascoltare e mettere in pratica. Dunque: Siate come quelli che mettono in pratica la parola e non ascoltatori soltanto, ingannando voi stessi (Gc 1, 19).
“Due ciechi lo seguivano urlando:
Figlio di Davide, abbi pietà di noi”.
(Mt 9, 27)
Chi vive il Vangelo, chi ne propone gli insegnamenti e i valori mettendoli in pratica, è destinato alla persecuzione! Anzi, si potrebbe dire che l’opposizione della folla, di quanti vorrebbero spegnere questa voce che si leva a difesa dell’uomo, è la prova che si è sulla buona strada, che si vive autenticamente la radicalità del messaggio di Cristo. Il cristiano non scende a compromessi; e ciò non può non scatenare la reazione di quanti vorrebbero invece restare ancorati all’indifferenza o alla mediocrità della propria vita.
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 88, 13.12-14.13)
Gridare verso Cristo
Che significa gridare verso Cristo, fratelli, se non corrispondere alla grazia di Cristo con le opere buone? Dico ciò, fratelli, affinché non facciamo strepito con le parole e rimaniamo poi muti con le opere buone. Chi è che grida verso Cristo affinché sia rimossa la cecità interiore al suo passaggio, vale a dire quando ci dispensa i misteri temporali con cui siamo esortati a conseguire quelli eterni? Chi è che grida verso Cristo? Grida verso il Cristo chi disprezza il mondo. Grida a Cristo chi disprezza i piaceri mondani. Grida a Cristo chi non con la lingua, ma con la vita dice: Il mondo per me è morto e io per il mondo sono morto (Gal 6, 14). Grida a Cristo chi distribuisce e dà i suoi beni ai poveri, affinché la sua giustizia sia stabile per l’eternità (Cf. Sal 111, 9). Poiché colui che ascolta attentamente: Vendete i vostri beni e il ricavato datelo ai poveri. Procuratevi delle borse che non si consumano, un tesoro stabile in cielo (Lc 12, 33), sente come il rumore dei passi di Cristo, deve allora gridare verso di lui sull’esempio di quel cieco, cioè fare quanto fece lui. La sua voce deve realizzarsi nelle opere. Prenda a disprezzare il mondo, a distribuire le sue ricchezze ai poveri, a non stimare nulla i beni amati dagli uomini, disprezzi le offese, non brami vendicarsi, porga la guancia a chi lo percuote, preghi per i nemici; se uno gli ruba le proprie cose, non le richieda; se invece avrà tolto qualcosa a qualcuno, gli renda il quadruplo.
Quando però inizierà a praticare queste opere buone, tutti i congiunti e i parenti e gli amici si turbano. Gli amanti del mondo lo contestano: “Che pazzia è la tua? Sei esagerato; gli altri non sono forse cristiani? La tua è una stoltezza, anzi una pazzia!”. (…) Non so effettivamente come esprimermi, ma ancor meno so come tacere. Orbene, ecco che cosa dico, e lo dico apertamente. Poiché temo non solo Gesù che passa ma anche Gesù che rimane, per questo non posso tacere. I cristiani cattivi e tiepidi cercano d’impedire i buoni cristiani veramente zelanti e desiderosi di mettere in pratica i precetti di Dio scritti nel Vangelo. La stessa folla che accompagna il Signore s’oppone a coloro che gridano, cioè s’oppone a coloro che gridano per impedire loro di essere guariti persistendo nel gridare. Ma essi continuino a gridare, non si stanchino, non si lascino trascinare per una malintesa autorità delle folle e non imitino quelli che sono diventati cristiani prima di loro, ma vivono male e sono maldisposti verso di loro a causa delle opere buone. Non dicano: “Cerchiamo di vivere come vivono tanti di questi tali”. Perché non vivere piuttosto come insegna il Vangelo? Perché mai vuoi vivere seguendo la folla che ti rimprovera e t’impedisce, e non seguendo le orme del Signore? Quelli t’insulteranno, ti biasimeranno, ti dissuaderanno, ma tu continua a gridare finché la tua voce non giunga alle orecchie di Gesù. Orbene, coloro che persisteranno nel mettere in pratica i precetti di Cristo e non faranno caso alla folla che si oppone e non terranno in gran conto il fatto di sembrare d’essere seguaci del Cristo, cioè il fatto di chiamarsi cristiani, ma avranno più cara la luce che Cristo ridarà loro anziché temere lo strepito degl’individui che loro si oppongono; questi non saranno separati in alcun modo da Cristo, il quale si fermerà e li guarirà.
L’Avvento è il tempo mariano per eccellenza: il mistero dell’Incarnazione passa attraverso il fiat della Vergine Maria. Invochiamo Colei che ci offre, nel suo corpo non intaccato dal peccato, l’immagine della Chiesa redenta, della Chiesa trionfale “senza macchia e senza ruga”.
Si deve a P. Trapè l’aver raccolto alcune espressioni di Agostino riferite alla Vergine di Nazareth, componendo questa preghiera di elevazione.
Preghiera alla Vergine Maria
Celebriamo con gioia, o Maria,
il giorno in cui hai partorito il Salvatore:
tu, sposa, il creatore delle nozze;
tu, vergine, il principe dei vergini.
Felice, perché ancor prima di dare alla luce il Cristo,
hai accolto il Maestro,
ha ascoltato la Parola di Dio
e l’hai messa in pratica.
Hai accolto la verità nella mente
più che la carne nel ventre.
Beata per averlo concepito,
ma ancor più beata
per averlo accettato con la tua fede.
Con la carità fervente della tua fede
hai meritato che in te sbocciasse quel santo Germe,
Egli il Creatore che ti ha eletto
e ti ha eletto per essere tua creatura.
In te si è formato Colui che ti ha creato;
in te si è fatto carne il Verbo di Dio.
Il Verbo si è congiunto alla carne,
ed è il tuo grembo il talamo del grande connubio.
Vergine ti ha trovato nel suo concepimento,
vergine ti ha lasciato nella sua nascita.
Ti ha concesso la fecondità,
ma non ti ha privato dell’integrità.
Sei vergine, sei santa.
Molto è quanto hai meritato,
perché molto ti è stato donato,
molto hai ricevuto.
Hai meritato di dare alla luce
il Figlio dell’Altissimo,
ma eri umilissima.
Hai fatto al volontà del Padre,
e l’hai fatta per intero.
Per questo sei santa,
per questo sei beata!
Ascolto il saluto dell’angelo
e riconosco che in te è la mia salvezza.
Ave, piena di grazia!
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