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Lessico della Vita Interiore VI - La Croce

Le parole della spiritualità

Autore: Enzo Bianchi

LA PAROLA DELLA CROCE : Da sempre nel cristianesimo ciò che appare «scandalo e follia» è l’evento della croce e,di conseguenza, anche le metafore e i segni della croce. Al cristiano si ripresenta latentazione di «svuotare la croce», come denuncia Paolo nella Prima lettera ai Corinti,così come al non cristiano la croce e la sua logica appaiono disumane oppure un falsotentativo di interpretazione della sofferenza. Questo da sempre. Ma oggi – in questinostri tempi contrassegnati nel mondo occidentale dal benessere materiale,dall’abbondanza di ricchezze e di comodità, dalla ricerca di piacere a basso prezzo,dalla convinzione che tutto ciò che è tecnicamente possibile ed economicamenteottenibile è per ciò stesso lecito e auspicabile – dobbiamo constatare che la rimozionedella croce è quotidianamente attestata in mille modi, a volte rozzi, a volte molto sottili,e il fondamento stesso del cristianesimo ha perso evidenza, risulta sbiadito, annebbiato.Si pensi al tentativo di presentare la vita cristiana soltanto sotto il segno dellaresurrezione, quasi fosse una festa continua; si pensi alle energie spese per presentare aigiovani un Vangelo accattivante perché liberato dalle esigenze della «rinuncia»(elemento essenziale della stessa liturgia battesimale, oggi ridotto a termineimpronunciabile), della disciplina, del rinnegamento di sé, del prendere su di sé la croce(espressioni evangeliche oggi considerate «sconvenienti» a pronunciarsi); si pensi allascena, cui si assiste sempre più frequentemente nello spazio ecclesiale, di retori gnosticinon cristiani che declinano a loro modo la fede cristiana, riproponendo ai credenti uncristianesimo svuotato della follia della croce e arricchito dal discorso intellettualepersuasivo.Ormai Celso non è più il filosofo del II secolo che denigrava i cristiani acausa del loro Signore – un crocifisso – e della composizione sociologica –estremamente povera – della chiesa: no, il nuovo Celso elogia e loda un Gesù che èmaestro di filantropia e adula i cristiani così importanti e determinanti nella polis, maper fare questo annebbia, oscura, relega nell’oblio ciò che è l’evento fondatore eispiratore della vita cristiana. E accanto al nuovo Celso c’è il nuovo imperatore, checome l’antico tratteggiato da Ilario di Poitiers, il grande Padre della chiesa del IVsecolo, «è insidioso e lusinga, non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; nonci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; ci spingenon verso la libertà mettendo ci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci eonorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non citaglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro» (Liber contraConstantium 5). Così, senza essere contestata visibilmente e direttamente, la croce èsvuotata! Eppure, con quanta insistenza e con che forza Giovanni Paolo II ritorna achiedere ai cristiani di «non svuotare la croce di Cristo»!Almeno una volta all’anno, alvenerdì santo, la croce è posta davanti ai fedeli in tutta la sua realtà e la sua verità: c’èGesù di Nazaret, un uomo, un rabbi, un profeta che è appeso a un legno nella nuditàassoluta, un uomo crocifisso che appare anatema, scomunicato, indegno del cielo e dellaterra, un uomo abbandonato dai suoi discepoli, un uomo che muore disprezzato daquanti sono testimoni del suo supplizio ignominioso. Quell’uomo è Gesù il giusto, chemuore così a causa del mondo ingiusto in cui ha vissuto, quell’uomo è il credente fedelea Dio anche se muore come peccatore abbandonato da Dio, quell’uomo è il Figlio diDio cui il Padre darà risposta nel passaggio dalla morte alla resurrezione.Eppure questoevento della croce, avvenuto a Gerusalemme il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era,può essere svuotato anche attraverso le sue metafore e i suoi segni, e noi cristianidobbiamo restare vigilanti per non finire come gli uomini «religiosi» di ogni tempo chesentono nella crocifissione uno scandalo, o come i «sapienti» di questo mondo che lagiudicano follia. La croce è la «sapienza di Dio» e san Paolo, coniando l’espressione «laparola della croce» (1 Corinti 1,18) dice che l’evento che essa crea è l’Evangelo, labuona notizia. Il cristiano non è invitato dalla croce né al dolorismo né allarassegnazione, né tanto meno a leggere la vita di Gesù a partire da essa, ma devericonoscere che la vita di Gesù e la forma della sua morte, la crocifissione, sono statenarrazioni di Dio, del Dio vivente che ama gli uomini anche quando sono malvagi, delDio che perdona quelli che gli sono nemici nel momento stesso in cui essi simanifestano come tali, del Dio che accetta di essere rifiutato e ucciso volendo che ilpeccatore si converta e viva. La croce è allora anche la denuncia del nostro esseremalvagi, sedotti dal male, peccatori. e ingiusti, sicché il Giusto deve patire, essererifiutato, condannato e crocifisso.Sì, la croce è diventata l’emblema del cristiano –emblema a volte esaltato trionfalisticamente, altre volte ridotto a monile ornamentale osvilito a gesto scaramantico, altre ancora banalizzato a metafora di semplici avversitàquotidiane – ma o essa permane memoria dello «strumento della propria esecuzione»per mettere a morte l’«uomo vecchio» che è in noi, oppure è un segno non abitatodall’evento e diviene, quindi, una mistificazione. Lutero, meditando sulla croce efacendosi qui eco dei Padri della chiesa, scriveva: «Non è sufficiente conoscere Dionella sua gloria e maestà, ma è necessario conoscerlo anche nell’umiliazione enell’infamia della croce […]. In Cristo, nel Crocifisso stanno la vera teologia e la veraconoscenza di Dio».LA PREGHIERA, UNA RELAZIONEAll’interno di ogni tradizione religiosa la preghiera, nelle sue forme e nei suoi modi,appare essere direttamente connessa al volto del Dio che essa intende raggiungere. E ilDio della rivelazione biblica è il Dio vivente che non sta al termine di un nostroragionamento, ma nella libertà amorosa dei suoi atti, dei suoi interventi che lo mostranoessere egli stesso alla ricerca dell’uomo. È pertanto vero che, lungi dall’essere il fruttodel naturale senso di autotrascendenza dell’uomo o l’esito del suo innato sensoreligioso, la preghiera cristiana, che contesta ogni autosufficienza antropocentrica,appare come risposta dell’uomo alla decisione gratuita e prioritaria di Dio di entrare inrelazione con l’uomo. È Dio che, secondo tutte le pagine bibliche, cerca, interroga,chiama l’uomo, il quale è condotto dall’ascolto alla fede, e nella fede reagisce attraversoil rendimento di grazie (benedizione, lode ecc.) e la domanda (invocazione, supplica,intercessione ecc.), cioè attraverso la preghiera sintetizzata nei suoi due momentifondamentali. La preghiera è dunque oratio fidei (Giacomo 5, 15), eloquenza della fede,espressione dell’adesione personale al Signore.Al tempo stesso la rivelazione biblicaattesta anche la dimensione della preghiera come ricerca di Dio fatta dall’uomo: ricercacome spazio che l’uomo predispone allo svelarsi, che resta libero e sovrano, di Dio alui; ricerca come apertura dell’uomo all’evento dell’incontro in vista della comunione;ricerca come affermazione dell’alterità di Dio stesso rispetto all’uomo, come segno delfatto che egli non può essere posseduto dall’uomo anche quando dall’uomo èconosciuto; ricerca come elemento costitutivo della dialettica dell’amore, dellarelazione di dialogicità centrale nella preghiera. Se la preghiera cristiana è risposta alDio che ci ha parlato per primo, essa è anche invocazione e ricerca del Dio che sinasconde, che tace, che cela la sua presenza. La dialettica amorosa presente nel Canticodei Cantici, il gioco di nascondimento e scoperta, di desiderio e ricerca tra amante eamata può applicarsi anche alla preghiera. I Salmi lo mostrano: «o Dio, dall’aurora io ticerco, la mia anima ha sete di te, mio Dio […] ti parlo nelle veglie notturne, […] il mioessere aderisce a te, la tua destra mi abbraccia e mi sostiene» (Salmo 63). E il dialogoamoroso presente nel Cantico è in fondo la realtà a cui la Scrittura vuole condurrel’uomo nel suo rapporto con Dio. È forse questa dimensione relazionale ciò che meglioesprime il proprium della preghiera cristiana, preghiera che si immette e vive all’internodella relazione di alleanza stabilita da Dio con l’uomo.Posta questa fondamentalepremessa, possiamo dire che, se la vita è adattamento all’ambiente, la preghiera, che èvita spirituale in atto, è adattamento al nostro ambiente vitale ultimo che è la realtà diDio in cui tutto e tutti sono contenuti. Essenziale, come disposizione fondamentale dellapreghiera cristiana, è l’accettazione e la confessione della propria debolezza. Esemplareè l’atteggiamento del pubblicano della parabola evangelica (Luca 18,9-14) che pregapresentandosi a Dio così com’è in realtà, senza menzogne e senza maschere, senzaipocrisie e senza idealizzazioni, e accettando come propria verità quello che Dio pensadi lui, lo sguardo di Dio su di lui. Solo chi è capace di un atteggiamento realistico,povero e umile, può stare davanti a Dio accettando di essere conosciuto da Dio per ciòche egli è veramente. Del resto ciò che davvero è importante è la conoscenza che Dio hadi noi, mentre noi ci conosciamo solo in modo imperfetto (cfr. 1 Corinti 13,12; Galati4,9). Base di partenza per la preghiera è allora la confessione della nostra incapacità dipregare: «Noi non sappiamo cosa domandare per pregare come si deve, ma lo Spiritoviene in aiuto alla nostra debolezza e intercede per noi con gemiti inesprimibili»(Romani 8,26). Da questa confessione scaturisce l’apertura all’accoglienza della vita diDio in noi. La preghiera porta il soggetto a decentrarsi dal proprio «io» per viveresempre più della vita di Cristo in lui, per vivere sotto la guida dello Spirito, per vivereda figlio nei confronti del Padre. Questo decentramento non ha nulla a che vedere con il«far il vuoto in se stessi» che scimmiotta atteggiamenti spirituali afferenti ad altretradizioni culturali e religiose. È un decentramento finalizzato all’agape, all’amore.Infatti il fine della preghiera cristiana, che la distingue anche dalle forme di meditazionee dalle tecniche di ascesi o di concentrazione diffuse nelle religioni orientali, è la carità,l’uscita da sé per l’incontro con la persona vivente di Gesù Cristo e per pervenire adamare gli uomini «come lui ci ha amati». Questa relazionalità, che è riflesso della vitadel Dio trinitario e che abbraccia tanto Dio quanto gli altri uomini, è dunque ilcontrassegno fondamentale della preghiera cristiana.PRIMA L’ASCOLTO«Parla, Signore, che il tuo servo ascolta» (1 Samuele 3,10): queste parole esprimonobene il fatto che l’ascolto, secondo la, rivelazione ebraico-cristiana, è l’atteggiamentofondamentale della preghiera. E contestano un nostro frequente atteggiamento che sivuole di preghiera ma che riduce al silenzio Dio per lasciar sfogare le nostre parole.Dunque la preghiera cristiana è anzitutto ascolto: essa infatti non è tanto espressionedell’umano desiderio di autotrascendimento, quanto piuttosto accoglienza di unapresenza, relazione con un Altro che ci precede e ci fonda.Per la Bibbia, Dio non èdefinito in termini astratti di essenza, ma in termini relazionali e dialogici: egli èanzitutto colui che parla, e questo parlare originario di Dio fa del credente un chiamatoad ascoltare. È emblematico il racconto dell’incontro di Dio con Mosè al roveto ardente(cfr. Esodo 3,1 e sgg.): Mosè si avvicina per vedere lo strano spettacolo del roveto chebrucia senza consumarsi, ma Dio vede che si era avvicinato per vedere e lo chiama dalroveto interrompendo il suo avvicinarsi. Il regime della visione è quello dell’iniziativaumana che porta l’uomo a ridurre la distanza da Dio, è il regime del protagonismoumano, è scalata dell’uomo verso Dio, invece il Dio che si rivela fa entrare Mosè nelregime dell’ascolto e conserva la distanza tra Dio e uomo che non può essere valicataaffinché possa esservi relazione: «Non avvicinarti!» (Esodo 3,5). E ciò che era unostrano spettacolo diviene per Mosè presenza familiare: «lo sono il Dio di tuo padre»(Esodo 3,6). A Prometeo che sale l’Olimpo per rubare il fuoco si oppone Mosè che siferma di fronte al fuoco divino e ascolta la Parola. A partire da quell’ascolto originario egenerante, la vita e la preghiera di Mosè saranno due aspetti inscindibili dell’unicaresponsabilità di realizzare la parola ascoltata.Nell’ascolto Dio si rivela a noi comepresenza antecedente ogni nostro sforzo di comprenderla e di coglierla. Dunque il veroorante è colui che ascolta. Per questo «ascoltare è meglio dei sacrifici» (1 Samuele15,22), è cioè meglio di ogni altro rapporto tra Dio e uomo che si fondi sul fragilefondamento dell’iniziativa umana. Se la preghiera è un dialogo che esprime la relazionetra Dio e l’uomo, l’ascolto è ciò che immette l’uomo nella relazione, nell’alleanza, nellareciproca appartenenza: «Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sareteil mio popolo» (Geremia 7,23). Capiamo allora perché tutta la Scrittura sia attraversatadal comando dell’ascolto: è grazie all’ascolto che noi entriamo nella vita di Dio, anzi,consentiamo a Dio di entrare nella nostra vita. Il grande comando dello Shema’ Israel(Deuteronomio 6,4 e sgg.), confermato da Gesù come centrale nelle Scritture (Marco12,28-30), svela che dall’ascolto («Ascolta, Israele») nasce la conoscenza di Dio («IlSignore è uno») e dalla conoscenza l’amore («amerai il Signore»).L’ascolto perciò èuna matrice generante, è la radice della preghiera e della vita in relazione con il Signore,è il momento aurorale della fede (fides ex auditu: Romani 10,17), e dunque anchedell’amore e della speranza. L’ascolto è generante: noi nasciamo dall’ascolto. Èl’ascolto che immette nella relazione di filialità con il Padre, e non a caso il NuovoTestamento indica che è Gesù, il Figlio, Parola fatta carne, che deve essere ascoltato:«Ascoltate lui!» dice la voce dalla nube sul monte della Trasfigurazione indicando Gesù(Marco 9,7). Ascoltando il Figlio noi entriamo nella relazione con Dio e possiamo nellafede rivolgerci a Lui dicendo: «Abba» (Romani 8,15; Galati 4,6), «Padre nostro»(Matteo 6,9). Ascoltando il Figlio veniamo generati a figli. Con l’ascolto la Parolaefficace e lo Spirito ricreatore di Dio penetrano nel credente divenendo in lui principiodi trasfigurazione, di conformazione al Cristo.Ecco perché essenziale al credente è avere«Un cuore che ascolta» (1 Re 3,9). È il cuore che ascolta attraverso l’orecchio! Cioèl’orecchio non è semplicemente, secondo la Bibbia, l’organo dell’udito, ma la sede dellaconoscenza, dell’intelletto, dunque si trova in rapporto strettissimo con il cuore, ilcentro unificante che abbraccia la sfera affettiva, razionale e volitiva della persona.Ascoltare significa pertanto avere «sapienza e intelligenza» (1 Re 3,12), discernimento(«Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese», Apocalisse 2,7). Sel’ascolto è così centrale nella vita di fede, esso allora necessita di vigilanza: occorre fareattenzione a ciò che si ascolta (Marco 4,24), a chi si ascolta (Geremia 23,16; Matteo24,4-6.23; 2 Timoteo 4,1-4), a come si ascolta (Luca 8,18). Occorre cioè dare unprimato alla Parola sulle parole, alla Parola di Dio sulle molteplici parole umane, eoccorre ascoltare con «cuore buono e largo» (Luca 8,15). Come ascoltare la Parola? Laspiegazione della parabola del seminatore (Marco 4,13-20; Luca 8,11-15) ce lo indica.Occorre saper interiorizzare, altrimenti la Parola resta inefficace e non produce il fruttodella fede (Marco 4,15; Luca 8,12); occorre dare tempo all’ascolto, occorre perseverarein esso, altrimenti la Parola resta inefficace e non produce il frutto della saldezza, dellafermezza e della profondità della fede personale (Marco 4,16-17; Luca 8,13); occorrelottare contro le tentazioni, contro le altre «parole» e i «messaggi» seducenti dellamondanità, altrimenti la Parola viene soffocata, resta infeconda e non perviene a portareil frutto della maturità di fede del credente (Marco 4,18-19; Luca 8,14). E se non vi saràquesto ascolto non vi sarà neppure preghiera!PREGHIERA E IMMAGINE DI DIOL’uomo che prega si rivolge a Dio «che non si vede» (cfr. 1 Giovanni 4,20). E tuttavianella preghiera è implicata necessariamente una certa immagine di Dio da partedell’uomo. È evidente allora come sia facile il rischio della menzogna e dell’idolatria: ilrischio è quello di forgiarsi un Dio a propria immagine e somiglianza e rendere lapreghiera un atto autogiustificatorio, autistico, rassicurante. L’esempio della preghieradel fariseo e del pubblicano al Tempio nella parabola lucana (Luca 18,9-14) èsignificativo. I due diversi atteggiamenti di preghiera esprimono due differentiimmagini di Dio relative a due differenti immagini che i due uomini hanno di sé. Inparticolare, la preghiera del fariseo manifesta l’atteggiamento di chi «si sente a postocon Dio»; ai suoi occhi il suo Dio non può che confermare il suo agire, eppure la frasefinale della narrazione sconfessa l’immagine di Dio che quest’uomo aveva: egli nontornò a casa sua giustificato! Mentre il pubblicano si espone radicalmente all’alterità diDio entrando così nel rapporto giusto con Dio, il fariseo sovrappone il suo «ego»all’immagine di Dio: nella sua preghiera c’è (con)fusione tra il suo «io» e «Dio».Rischio, questo, molto frequente presso gli uomini religiosi!Ora, il primato dell’ascoltonella preghiera cristiana indica che essa è lo spazio in cui le immagini di Dio che noiforgiamo vengono spezzate, purificate, convertite. La preghiera, infatti, è ricerca di unincontro fra due libertà, quella dell’uomo e quella di Dio. In questa ricerca la distanzafra immagine di Dio forgiata dall’uomo e alterità rivelata di Dio diviene lo scarto fra ladomanda e l’esaudimento, fra l’attesa e la realizzazione. Ecco perché al cuore dellapreghiera cristiana c’è l’invocazione: «Sia fatta la tua volontà» (Matteo 6,10). Nelloscarto fra volontà dell’uomo e volontà di Dio la preghiera agisce come spazio diconversione e accettazione della volontà di Dio. È lo scarto, ed è la preghiera, che havissuto Gesù stesso al Getsemani: «Abba, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da mequesto calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi» (Marco 14,36). È loscarto, ed è la preghiera, che Paolo ha vissuto con particolare drammaticità: «Perchénon montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spinanella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada insuperbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse dame. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza, infatti, si manifestapienamente nella debolezza”» (2 Corinti 12,7-9). Paolo accetta la contraddizione portataalla sua richiesta che non viene esaudita e così la sua preghiera lo porta a riflettereesistenzialmente l’immagine del Dio che non l’esaudisce, ma che gli resta accanto nellasua debolezza. Paolo deve accettare la modificazione della sua, pur corretta e rispettosa,immagine di Dio. Così la sua vita si conforma sempre più all’immagine rivelata di Dio:quella del Cristo crocifisso.La preghiera cristiana conforma l’orante all’immagine delCristo crocifisso. E il Crocifisso nel suo grido sulla croce ha accettato l’assenza assolutadi immagini di Dio. Il grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Marco15,34) denuncia la distanza fra l’immagine conosciuta del volto di Dio e la realtàpresente. E dopo il grido dell’abbandono, secondo Marco, c’è solo un urlo inarticolato:«Gesù, dando un forte grido, spirò» (Marco 15,37). Non c’è più parola, non c’è piùimmagine; non c’è più teo-logia, non c’è più parola su Dio; non c’è piùrappresentazione di Dio. Dunque, non c’è più riduzione di Dio a idolo! Il silenzio e ilbuio delle tre ore dall’ora sesta all’ora nona sono il sigillo di questo indicibile einvisibile di Dio che salvaguarda il suo mistero e la sua alterità.Ma proprio quel radicaleannichilimento di immagini di Dio (chi mai ha raffigurato Dio in un condannato amorte?) e di parole su Dio (il Dio crocifisso non spezza forse ogni 16 gos?) èl’abolizione radicale dell’idolatria, della riduzione di Dio a immagine dell’uomo. Lapresenza di Dio, l’immagine di Dio ormai va vista lì, nel Cristo crocifisso: «Egli èl’immagine del Dio invisibile» (Colossesi 1,15). Sì, il Cristo crocifisso annichilisce Diocome immagine dell’uomo e ci presenta un uomo come immagine (eikon) di Dio. IlCristo crocifisso è l’immagine di Dio che spezza le nostre immagini di Dio. IlCrocifisso è anche l’immagine di fronte alla quale noi preghiamo, ma che deve spezzarele immagini che, volenti o nolenti, proiettiamo su Dio. L’immagine di Dio manifestatadal Cristo crocifisso smentisce l’immagine di Dio «professata» dal fariseo al Tempio,immagine connessa a una certa considerazione di sé supportata da un’immagine –spregiativa – degli altri. La preghiera è dunque composizione attorno al Cristo crocifissodelle immagini di sé, degli altri e di Dio. L’immagine di Dio che è il Cristo crocifissocustodisce Paolo dalla tentazione dell’orgoglio, del «super-io» (il «montare insuperbia», hyper-airomai, 2 Corinti 12,7, convertito nel porre il proprio vanto nellesofferenze patite «per Cristo», hypèr Christou, 2 Corinti 12,10) e lo conduce, grazie allapreghiera, a parteciparla nella sua vita: «lo porto le stigmate di Gesù nel mio corpo»(Galati 6,17; cfr. Colossesi 1,24). Così la preghiera, conformando al Cristo crocifisso,diviene anche promessa di resurrezione, spazio di trasfigurazione nell’immaginegloriosa del Signore (cfr. 2 Corinti 3,18).PREGHIERA DI INTERCESSIONENella preghiera noi portiamo l’interezza della nostra vita. E noi siamo esseri-in-relazione con altri uomini: gli altri fanno parte di noi, le relazioni con lorocontribuiscono a determinare ciò che noi siamo e diventiamo. Nella preghiera dunque,rivolgendo ci da figli al Dio Padre, noi siamo anche confermati nella fraternità che eilega agli altri uomini. Ed è l’intercessione la preghiera in cui con più evidenza simanifesta la pienezza del nostro essere come relazione con Dio e con gli uomini. El’intercessione mostra anche l’unità profonda fra responsabilità, impegno storico, carità,giustizia, solidarietà da un lato, e preghiera dall’altro. Che cosa vuoI dire infattiintercedere? Etimologicamente inter-cedere significa «fare un passo tra», «interporsi»fra due parti, indicando così una compromissione attiva, un prender sul serio tanto larelazione con Dio, quanto quella con gli altri uomini. In particolare, è fare un passopresso qualcuno a favore di qualcun altro. Parafrasando il Salmo 85,11 potremmo direche nell’intercessione «si incontrano fede e amore», «si abbracciano fede in Dio eamore per l’uomo». L’intercessione non ci porta a ricordare a Dio i bisogni degliuomini, egli infatti «sa di che cosa abbiamo bisogno» (cfr. Matteo 6,32), ma porta noiad aprirci al bisogno dell’altro facendone memoria davanti a Dio e ricevendonuovamente l’altro da Dio, illuminato dalla luce della volontà divina.Questo duplicemovimento, questo camminare tra Dio e l’uomo, stretti fra l’obbedienza alla volontà diDio su di sé, sugli altri e sulla storia, e la misericordia per l’uomo, la compassione pergli uomini nelle situazioni del loro peccato, del loro bisogno, della loro miseria, spiegaperché l’intercessione, nella Bibbia, sia più che mai il compito del pastore del popolo,del re, del sacerdote, del profeta, e trovi la sua raffigurazione piena e totale nel Cristo«unico mediatore fra Dio e gli uomini» (1 Timoteo 2,5). Sì, è con il Cristo e questicrocifisso che trova realizzazione l’anelito di Giobbe: «Ci fosse tra me e te, Signore,uno che mette la sua mano su di me e su di te, sulla mia spalla e sulla tua spalla» (cfr.Giobbe 9,33). Qui Giobbe chiede un intercessore! Se nell’Antico Testamento l’iconadell’intercessore la troviamo in Mosè che, ritto sul monte fra Aronne e Cur che losostengono, alza le braccia al cielo assicurando la vittoria al popolo che combatte nellapianura (Esodo 17,8-16), nel Nuovo Testamento l’icona è quella del Cristo crocifissoche stende le sue braccia sulla croce per portare a Dio tutti gli uomini. Il Cristocrocifisso pone una mano sulla spalla di Dio e una sulla spalla dell’uomo. Il limitedell’intercessione è dunque il dono della vita, la sostituzione vicaria, la croce! Loesprime bene Mosè nella sua intercessione per i figli d’Israele: «Signore, se tuperdonassi il loro peccato. Se no, cancellami dal libro che hai scritto» (Esodo 32,32).Nell’intercessione si impara a offrirsi a Dio per gli altri e a vivere concretamente nelquotidiano questa offerta.L’intercessione ci conduce al cuore della vita responsabilecristiana: nella piena solidarietà con gli uomini peccatori e bisognosi, essendo anche noipeccatori e bisognosi, facciamo un passo, entriamo in una situazione umana incomunione con Dio che in Cristo ha fatto il passo decisivo per la salvezza degli uomini.Il Servo del Signore intercede per i peccatori assumendo il loro peccato, il castigo lorodestinato, portando le loro infermità e debolezze (Isaia 53,12). Il Cristo, dunque, conl’incarnazione e la morte di croce ha compiuto l’intercessione radicale, il passo decisivotra Dio e l’uomo, e ora, Vivente per sempre presso Dio, continua a intercedere per noiquale grande sacerdote misericordioso (Ebrei 7,25). La sua mano sulla nostra spallafonda la nostra fiducia e audacia, la nostra parresia: «Chi condannerà? Cristo Gesù cheè morto, anzi, che è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi?» (Romani 8,34). Ildono dello Spirito ci rende partecipi dell’intercessione di Cristo: lo Spirito ci guida apregare «secondo i disegni di Dio» (cfr. Romani 8,26-27), conformando cioè la nostrapreghiera e la nostra vita a quella del Cristo. Solo nello Spirito che ci strappa alla nostraindividualità chiusa noi possiamo pregare per gli altri, far inabitare in noi gli altri eportarli davanti a Dio, arrivando addirittura a pregare per i nemici, passo essenziale dafare per poter arrivare ad amare i nemici (Matteo 5,44).C’è stretta reciprocità frapreghiera per l’altro e amore per l’altro. Anzi, potremmo dire che il culminedell’intercessione non consiste tanto in parole pronunciate davanti a Dio, ma in unvivere davanti a Dio nella posizione del crocifisso, a braccia stese, nella fedeltà a Dio enella solidarietà con gli uomini. E a volte non possiamo fare assolutamente altro, perconservare una relazione con l’altro uomo, se non custodirla nella preghiera,nell’intercessione. A quel punto è chiaro che l’intercessione non è una funzione, undovere, qualcosa che si fa, ma l’essenza stessa di una vita divorata dall’amore di Dio edegli uomini. La chiesa dovrebbe ricordare tutto questo: che altro essa è infatti se nonintercessione presso Dio per gli uomini tutti? Questo il servizio veramente potente cheessa è chiamata a svolgere nel mondo. Un servizio che la colloca nel mondo non da crociata, ma da segnata dalla croce!

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