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Libro della Vita - Capitoli 23, 24

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 23

In cui riprende la narrazione della sua vita e dice come e con quali mezzi cominciò a procedere con maggior perfezione. È utile, per le persone che si impegnano a dirigere le anime nella vita di orazione, sapere come debbano comportarsi agli inizi e conoscere il vantaggio che a lei procurò l’essere stata ben indirizzata.

1. Voglio ora riprendere la storia della mia vita, dal punto in cui l’ho lasciata, dilungandomi più del dovuto per far meglio capire ciò che seguirà. Da qui innanzi sarà un libro nuovo, voglio dire una vita nuova, perché quella di cui ho parlato finora era mia, ma quella che ho vissuto da quando ho cominciato a spiegare cose attinenti all’orazione è la vita di Dio in me, a quanto mi sembra, poiché ritengo che sarebbe stato impossibile altrimenti svincolarsi in così poco tempo da abitudini e opere tanto cattive. Sia lodato il Signore che mi liberò da me stessa!

2. Appena, dunque, cominciai a fuggire le occasioni e a darmi di più all’orazione, il Signore cominciò a elargirmi le sue grazie, come chi non desiderava altro – a quel che si vide – se non che io volessi riceverle. Sua Maestà prese a darmi assai di frequente l’orazione di quiete e molte volte anche quella di unione, che durava a lungo. Ma, poiché in quei giorni si erano verificati casi di donne tratte in inganno dal demonio con grandi illusioni, cominciai a temere, specialmente per la grande gioia e la dolcezza che provavo, e a cui spesso non potevo sottrarmi, anche se, d’altra parte, in me ci fosse l’assoluta persuasione che provenissero da Dio, specialmente quando stavo in orazione e vedevo che ne uscivo assai migliorata e più forte. Ma appena mi distraevo tornavo a temere e a pensare se per caso il demonio non volesse, facendomi credere che era cosa buona, sospendere l’intelletto per privarmi dell’orazione mentale e della possibilità di meditare sulla passione e di servirmi dell’intelligenza, il che – non avendo conoscenza di queste cose – mi sembrava il maggior danno.

3. Siccome, però, Sua Maestà voleva ormai illuminarmi, affinché non l’offendessi più e conoscessi quanto gli dovevo, questa paura aumentò in modo tale che mi fece cercare con diligenza persone spirituali con cui trattarne. Avevo già notizia di alcune, essendosi stabiliti qui i padri della Compagnia di Gesù per i quali io – pur non conoscendone alcuno – nutrivo grande affezione, solo per aver saputo del loro metodo di vita e di orazione, ma non mi credevo degna di parlare ad essi, né tanto forte da seguirne i consigli; e questa era una ragione di maggior timore, perché trattare con loro, essendo quale ero, mi sembrava sconveniente.

4. Rimasi in questa perplessità per qualche tempo finché, ormai spossata da tante lotte e timori interiori, mi decisi a parlare con una persona spirituale per chiederle che tipo di orazione fosse quella che io praticavo e pregarla che mi illuminasse, se ero in errore, essendo disposta a fare tutto il possibile per non offendere Dio; in quanto era la costatazione di mancanza di forza in me – ripeto – che mi rendeva così timorosa. Che grande inganno, mio Dio, quello di allontanarmi dal bene, per voler essere buona! In questo, senza dubbio, deve adoperarsi molto il demonio, quando si comincia a praticare la virtù, perché io non riuscivo ad averla vinta su me stessa. Egli sa che l’infallibile risorsa di un’anima è trattare con gli amici di Dio, pertanto non c’era modo che mi decidessi a far questo. Aspettavo anzitutto di emendarmi – come quando lasciai l’orazione – e forse non mi sarebbe mai stato possibile, essendo ormai così invischiata in certe piccole cattive abitudini, di cui non riuscivo a capire il danno, che era necessario l’aiuto di un altro che mi tendesse la mano per farmi rialzare. Sia benedetto il Signore che fu il primo a porgermi la sua!

5. Quando mi accorsi che il mio timore cresceva man mano che procedevo nell’orazione, mi sembrò che in questo dovesse esserci un grande bene o un grandissimo male, rendendomi ormai ben conto che quanto avveniva in me era cosa soprannaturale, perché a volte non potevo opporvi resistenza ed era escluso che potessi averlo quando volevo. Pensai di non aver altro rimedio se non cercare di mantenere la coscienza pura ed evitare ogni occasione, sia pur di peccati veniali, perché se si trattava dello spirito di Dio, il profitto era evidente; se, invece, si trattava del demonio, procurando io di contentare il Signore e di non offenderlo, poco danno avrebbe potuto farmi, anzi il danno sarebbe stato suo. Decisa a questo e supplicando sempre Dio che mi aiutasse, procurai di fare quanto ho detto per alcuni giorni, ma vidi che la mia anima non aveva la forza di ascendere da sola a tanta perfezione, a causa di certi attaccamenti a cose le quali, benché in sé non molto cattive, bastavano per rovinare tutto.

6. Mi parlarono di un dotto ecclesiastico di questa città, di cui il Signore cominciava a far conoscere alla gente la bontà e la vita edificante. Cercai di mettermi in contatto con lui per mezzo di un santo cavaliere di questa stessa città. È sposato, ma di vita così esemplare e virtuosa e di così grande orazione e carità che da tutto il suo essere emanano bontà e perfezione. E lo dico con molta ragione, perché gran bene è venuto a molte anime per mezzo suo, possedendo egli talenti tali che, sebbene il suo stato non gli sia di aiuto, non può fare a meno di operare con essi: è molto intelligente e affabile con tutti; la sua conversazione, per nulla pesante, è così dolce e garbata e insieme così retta e santa, che dà gran piacere a chi tratta con lui; parlando, mira unicamente al maggior bene delle anime con le quali conversa e non sembra preoccuparsi d’altro che adoperarsi per chi vede soffrire e accontentare tutti.

7. Ebbene, questo benedetto e santo uomo, con la sua avvedutezza mi sembra sia stato il principio della salvezza per la mia anima. La sua umiltà mi sbigottisce perché, praticando l’orazione, per quel che credo, da poco meno di quarant’anni (non so se due o tre anni di meno), tutta la sua vita è improntata alla perfezione che il suo stato sembra permettergli. Sua moglie, infatti, è così gran serva di Dio e così piena di carità che egli certo non si perderà mai per causa di lei; in conclusione, scelta da Dio proprio per colui che sapeva doveva essere un suo grande servo. Alcuni suoi congiunti erano imparentati con i miei ed egli aveva anche frequenti rapporti con un altro gran servo di Dio, sposato con una mia cugina.

8. Per questa via procurai d’incontrare quell’ecclesiastico di cui ho parlato, gran servo di Dio e suo grande amico, dal quale pensai di confessarmi, scegliendolo per mio direttore spirituale. E allorché mi fu presentato perché mi parlasse, io, profondamente turbata nel vedermi alla presenza di un uomo così santo, lo misi a parte della mia anima e del mio modo di fare orazione, ma egli non volle confessarmi, dicendo di essere molto occupato, ed era vero. Cominciò con santa risolutezza a trattarmi da anima forte, come dovevo ragionevolmente essere per il grado di orazione in cui vide che mi trovavo, esigendo che non offendessi più Dio in alcun modo. Io, quando vidi la sua determinazione a trarmi subito fuori da quei difettucci dai quali, come ho detto, non avevo forza di liberarmi con tanta perfezione, me ne afflissi, rendendomi conto che considerava la questione della mia anima come cosa che dovesse essere risolta all’istante, mentre io ritenevo che ci fosse bisogno di molto maggior cautela.

9. Infine, capii che non con quei mezzi che egli mi suggeriva avrei trovato la strada per emendarmi, essendo adatti ad anime più perfette, mentre io, benché fossi già avanti nelle grazie di Dio, ero solo al primo principio in virtù e mortificazione. Certamente, se avessi dovuto trattare unicamente con lui, credo che la mia anima non avrebbe mai progredito, perché il dispiacere che provavo nel vedere che non facevo – né mi sembrava che potessi farlo – quanto egli mi diceva, bastava per farmi perdere ogni speranza e abbandonare tutto. A volte mi meraviglio che, essendo egli una persona dotata di grazie particolari per avviare le anime all’unione con Dio, non abbia saputo intendere la mia né assumerne la direzione, ma vedo che fu tutto per mio maggior bene, affinché conoscessi e trattassi con persone così sante come quelle della Compagnia di Gesù.

10. Da allora rimasi d’accordo con quel santo cavaliere che mi venisse a trovare qualche volta. Qui si vide la sua grande umiltà nell’acconsentire a trattare con una persona così miserabile come me. Cominciò a visitarmi e a incoraggiarmi, dicendomi che non pensassi di dovermi staccare da tutto in un sol giorno, perché a poco a poco lo avrebbe fatto Dio, e che anch’egli era stato alcuni anni senza riuscire a spuntarla in cose di assai scarsa importanza. Oh, umiltà, che gran bene fai a coloro nei quali alberghi e che si legano a chi ti coltiva! Ai fini del mio emendamento, mi parlava questo santo (cui mi sembra di poter con ragione dar questo nome) di alcune debolezze – tali almeno parevano alla sua umiltà – che, in rapporto al suo stato, non erano né mancanze, né imperfezioni, mentre in rapporto al mio sarebbero state gravissime. Non dico questo senza motivo; sembra, infatti, che mi dilunghi in minuzie, ma sono così importanti perché un’anima cominci a trarre profitto e sia tratta a volare – anche se, come si dice, è ancora sprovvista di penne – che non può crederlo se non chi ne ha fatto esperienza. E siccome spero in Dio che la signoria vostra possa aiutare molte anime, dico qui che tutta la mia salvezza fu data dal fatto che egli mi sapesse curare, avesse l’umiltà e la carità di intrattenersi con me e la pazienza di sopportarmi, pur vedendo che non mi correggevo mai del tutto. procedeva con tatto, a poco a poco, per darmi modo di vincere il demonio. Cominciai a nutrire per lui così grande amore che non c’era per me maggior conforto di quello offertomi dai giorni in cui lo vedevo, benché fossero pochi. Quando tardava, subito mi affliggevo molto, sembrandomi che non venisse a farmi visita per la mia enorme cattiveria.

11. Quando egli, man mano, si rese conto delle mie grandi imperfezioni (e saranno stati anche peccati, benché quando trattavo con lui mi fossi molto migliorata), e quando gli esposi le grazie che Dio mi faceva per esserne illuminata, mi disse che una cosa non si accordava con l’altra, che quelli erano doni di persone già molto avanti nella virtù e nella mortificazione, e che non si poteva fare a meno di temere molto, perché in alcune cose gli sembrava di scorgere il senno dello spirito cattivo. Comunque, non si pronunziò in modo definitivo, ma mi raccomandò di riflettere su tutto ciò che potevo capire della mia orazione e di riferirglielo. E la difficoltà era proprio che io non sapevo dire né poco né molto in che cosa consistesse la mia orazione, perché questa grazia di saper capire che cosa sia e di saperne parlare, Dio me l’ha data da poco tempo.

12. Quando mi disse questo, con la paura che già avevo, grande fu la mia afflizione, e molte le mie lacrime, poiché certamente desideravo accontentare Dio e non potevo persuadermi che lì c’entrasse il demonio, ma temevo che, a causa dei miei peccati, Dio mi rendesse cieca perché non lo intendessi. Leggendo alcuni libri, per vedere se riuscivo, col loro aiuto, a dire quale orazione praticassi, ne trovai uno dal titolo La salita del monte dove si parla dell’unione dell’anima con Dio; ivi era indicato tutto quello che io provavo in me in quel non pensare a nulla, che era appunto quanto più spesso dicevo: che, cioè, in quell’orazione non potevo pensare a nulla. segnai con alcune linee le parti che facevano al mio caso e gli diedi il libro affinché sia lui, sia l’altro ecclesiastico di cui ho parlato, santo servo di Dio, lo esaminassero e mi dicessero che cosa dovevo fare. Se fosse loro sembrato opportuno, avrei lasciato del tutto l’orazione. Infatti, che ragione c’era per cui dovessi espormi a tali pericoli? Se dopo quasi vent’anni che la praticavo non ne avevo tratto alcun guadagno, ma solo inganni del demonio, era meglio non praticarla, nonostante che anche questo mi riuscisse duro, perché io avevo già provato quale fosse lo stato della mia anima senza orazione. Così vedevo tutto irto di difficoltà, come chi, trovandosi nel gorgo di un fiume, dovunque si diriga, teme maggior pericolo e sta quasi per affogare. È questo un tormento assai grande e di tal genere ne ho provati molti, come dirò più avanti; benché non sembri cosa molto importante, forse gioverà sapere attraverso quali prove debba passare lo spirito.

13. È certamente grande la pena che si soffre e bisogna aver tatto, specialmente con le donne perché, a causa della loro debolezza, potrebbe riuscire molto dannoso il dir loro apertamente che in esse opera il demonio. Bisogna considerare bene tutto, allontanarle dai pericoli in cui possono incorrere e raccomandar loro di fare attenzione a mantenere il segreto e mantenerlo noi stessi come si conviene. Dico questo perché mi è costata gran sofferenza che non l’abbiano mantenuto alcune persone con cui avevo parlato della mia orazione. Esse, parlandone e chiedendo l’una all’altra, a fin di bene, mi hanno fatto un gran danno, perché si sono divulgate cose che, non essendo adatte a tutti, sarebbe stato bene restassero segrete, e sembrava, inoltre, che a divulgarle fossi io. Credo però che non ne abbiano colpa, avendolo permesso il Signore perché io avessi a soffrire. Non dico che parlassero di ciò che tratto con loro in confessione, ma poiché erano persone che io mettevo a parte dei miei timori, affinché mi illuminassero, mi sembra che avrebbero dovuto tacere; ciò nonostante, non ho mai osato nascondere loro nulla. ripeto, dunque, che si usi molta discrezione, incoraggiando le anime e dando tempo al tempo, perché il Signore verrà loro in aiuto, come ha fatto con me. In caso diverso, piena di paura e di timori com’ero, ne avrei avuto grandissimo danno. Mi meraviglio, con il forte mal di cuore che avevo, di non esserne rimasta pregiudicata nella salute.

14. Quando gli ebbi dato il libro e fatto all’incirca una relazione della mia vita e dei miei peccati come meglio potei (non era una confessione, essendo egli un secolare, piuttosto una spiegazione di quanto fossi colpevole), i due servi di dio si preoccuparono con grande carità e amore di vedere ciò che mi conveniva fare. Giunse la risposta che aspettavo con viva trepidazione, dopo aver supplicato molte persone che mi raccomandassero a Dio ed essermi dedicata in quei giorni maggiormente all’orazione. Il cavaliere venne da me molto afflitto e mi disse che, secondo l’assoluto parere d’entrambi, ero vittima del demonio; che quanto occorreva fare era parlare con un padre della Compagnia di Gesù il quale, non appena io lo chiamassi, dicendo di averne bisogno, sarebbe venuto; che l’informassi di tutta la mia vita e del mio stato con una confessione generale, con assoluta chiarezza; aggiungendo che, in virtù del sacramento della confessione, Dio lo avrebbe maggiormente illuminato, tanto più che nelle cose dello spirito quei padri hanno grande esperienza, e raccomandandomi di non discostarmi in nulla da ciò che mi avrebbe detto, perché correvo un gran pericolo se non trovavo chi mi guidasse.

15. Ciò mi procurò tanto timore e tanta pena che non sapevo cosa fare, tranne piangere in continuazione. Un giorno, mentre stavo in oratorio piena d’angoscia, ignara di quel che sarebbe stato di me, lessi in un libro – che forse il Signore mi pose tra le mani – come san Paolo dicesse che Dio era molto fedele e mai permetteva che fosse ingannato dal demonio chi lo amava. Questo mi consolò moltissimo. Cominciai ad occuparmi della mia confessione generale e a mettere per iscritto in una relazione, quanto più chiaramente seppi e potei fare, tutto il male e il bene della mia vita, senza tralasciare di dire nulla. ricordo che, vedendo, dopo aver scritto, tanto male e quasi nulla di bene, ne provai un’angoscia e un’afflizione grandissime. Mi dava anche angustia che in casa mi vedessero trattare con persone così sante come i padri della Compagnia di Gesù; temevo per la mia cattiveria, perché mi sembrava di sentirmi maggiormente obbligata, trattando con loro, a non essere più una miserabile creatura e a rinunciare ai miei passatempi; se non l’avessi fatto, sarebbe stato peggio per me. Così mi accordai con la sagrestana e la portinaia affinché non lo dicessero a nessuno. Mi giovò a poco, perché si trovò in portineria, quando mi chiamarono, chi lo disse a tutto il convento. Quanti ostacoli e paure frappone il demonio a chi vuol giungere a Dio!

16. Aperta tutta la mia anima a quel servo di Dio – era molto devoto, e anche molto perspicace – egli, come chi ben conosceva questo linguaggio, mi spiegò che cos’era e m’incoraggiò molto. Disse che evidentemente si trattava dello spirito di Dio e che dovevo riprendere l’orazione, perché non ero ben fondata, né avevo ancora ben cominciato a intendere che cosa fosse la mortificazione (ed era così, perché mi sembra che non ne sapessi neanche il nome). Non solo non dovevo in nessun modo lasciare l’orazione, ma attendervi con tutte le mie forze, visto che Dio mi faceva grazie così particolari. Che sapevo io se per mezzo mio il Signore voleva avvantaggiare molte persone? E aggiunse altre cose con cui sembra che profetizzasse quello che poi Dio ha fatto con me, per concludere che sarei stata molto colpevole se non avessi corrisposto alle sue grazie. In tutto quanto diceva mi sembrava che in lui parlasse lo Spirito santo per risanare la mia anima, tanto profondamente s’imprimevano in essa le sue parole.

17. Si verificò in me una completa rivoluzione; mi diresse in tal modo che mi parve d’essere del tutto trasformata. Che gran cosa è intendere un’anima! Mi disse di concentrare ogni giorno l’orazione su un punto della passione, di cercare di trarne profitto non pensando ad altro che all’umanità di Cristo e di resistere, per quanto potevo, a quei miei raccoglimenti e a quelle dolcezze interiori, in modo da non dare adito ad essi fino a che egli non mi desse ordini diversi.

18. Mi lasciò consolata e rinvigorita, e il Signore che aiutò me, aiutò anche lui perché comprendesse la mia condizione e il modo con cui doveva guidarmi. Restai fermamente decisa a non allontanarmi in nulla da ciò che avrebbe comandato, e così ho fatto fino ad oggi. Sia lodato il Signore che mi ha dato la grazia di obbedire ai miei confessori, sia pure imperfettamente! Essi sono stati quasi sempre questi benedetti padri della Compagnia di Gesù e sebbene – ripeto – li abbia seguiti imperfettamente, la mia anima cominciò ad averne un evidente miglioramento, come ora dirò.

CAPITOLO 24

Prosegue nell’argomento iniziato e dice come la sua anima andò avvantaggiandosi da quando cominciò ad obbedire, e quanto poco le giovasse resistere ai favori di Dio, che egli le dava in un modo sempre più perfetto.

1. Dopo questa confessione la mia anima restò così docile da sembrarmi che non vi sarebbe stato nulla a cui non fosse disposta. Cominciai così a cambiare in molte cose, anche se il confessore non mi faceva alcuna pressione, anzi pareva che badasse poco a tutto, e questo mi animava di più, perché mi conduceva per la via dell’amore di Dio e mi lasciava libera, senza altri obblighi, eccetto quelli che io mi imponessi per amore. Rimasi così quasi due mesi, facendo quanto potevo per resistere ai doni e alle grazie di Dio. Nelle forme esteriori era evidente il cambiamento, poiché il Signore ormai cominciava a darmi la forza di fare certe cose che, a giudizio di persone che mi conoscevano, anche della stessa casa, sembravano eccessive. E, rispetto a quel che facevo prima, avevano ragione di ritenerle eccessive, ma rispetto agli obblighi che l’abito e la professione m’imponevano, restavo sempre in debito.

2. Dall’opporre resistenza alle gioie spirituali e ai doni di Dio guadagnai che Sua Maestà mi desse un insegnamento. Prima, infatti, mi sembrava che per ricevere doni nell’orazione occorresse stare in grande raccoglimento e quasi non osavo muovermi. Dopo mi accorsi che ciò aveva ben poca importanza, perché quanto più cercavo di distrarmi, tanto più il Signore mi avvolgeva di soavità e di beatitudine tale che mi sembrava di esserne completamente circondata e di non poterne uscire da nessuna parte, come infatti era. Mi adoperavo a resistere con tanto impegno da provarne angustia; più grande era, però, l’impegno del Signore nel concedermi grazie e nel farsi conoscere molto più del solito in questi due mesi, affinché capissi meglio che resistergli non dipendeva più da me. Cominciai a innamorarmi nuovamente della sacratissima umanità di Gesù Cristo. L’orazione prese a consolidarsi come un edificio posto su salde fondamenta e mi affezionai di più alla penitenza che avevo trascurato a causa delle mie gravi infermità. Quel santo uomo che mi confessò mi disse che un po’ di penitenza non mi poteva fare alcun danno, e che forse Dio mi mandava tanti mali proprio perché, non facendola io, me la voleva imporre lui stesso. Mi ordinò di adempiere alcune mortificazioni non molto piacevoli per me. Io facevo tutto, perché mi sembrava che me lo ordinasse il Signore, dandogli la grazia di ordinarmelo in modo che io gli obbedissi. La mia anima cominciava già a sentir dolore di ogni offesa a Dio, per quanto piccola potesse essere, tanto che se avevo qualcosa di superfluo, non potevo ritirarmi in raccoglimento fin quando non me ne fossi spogliata. Pregavo molto il Signore di tenermi con la sua mano e di non permettere – trattando io con i suoi servi – che tornassi indietro, poiché mi sembrava che sarebbe stato un grave delitto e che essi avrebbero perduto credito per causa mia.

3. In questo tempo, arrivò in città il padre Francesco, già duca di Gandia, che da alcuni anni, dopo aver abbandonato tutto, era entrato nella Compagnia di Gesù. Il mio confessore e il cavaliere che, come ho detto, era venuto anch’egli da me, procurarono che gli parlassi e lo informassi della mia orazione, sapendo che era molto avanti nel ricevere favori e grazie da Dio il quale, tenuto conto del molto che aveva lasciato per lui, lo compensava fin da questa vita. Orbene egli, dopo avermi ascoltata, mi disse che si trattava dello spirito di Dio e che gli sembrava non fosse ormai il caso di resistergli oltre, anche se fino allora avessi agito bene, aggiungendo di cominciare sempre l’orazione con un brano della passione e di non opporre resistenza se, in seguito, il Signore mi rapisse lo spirito, lasciando fare a Sua Maestà, senza procurare io tale elevazione. Essendo già molto avanti in questa via, mi diede medicina e consiglio adatti, perché a tale riguardo è molto importante l’esperienza. Disse che sarebbe stato un errore continuare a resistere. Ne rimasi assai consolata e così anche il cavaliere, il quale si rallegrò molto di sentirgli dire che si trattava dello spirito di Dio, e continuò a darmi aiuto e consigli in tutto quel che poteva, e poteva molto.

4. In quel tempo trasferirono il mio confessore altrove e io ne soffrii moltissimo, temendo di ritornare ad essere una miserabile e sembrandomi impossibile trovarne un altro come lui. La mia anima rimase come in un deserto, piena di sconforto e di paura; non sapevo più che fare di me. Una mia parente ottenne di condurmi a casa sua e io mi adoperai subito a cercarmi un altro confessore tra i padri della Compagnia. Piacque al Signore che stringessi amicizia con una vedova, signora di nobili natali, molto dedita all’orazione, che aveva consuetudine di trattare con loro. Mi fece confessare dal suo confessore e rimasi in casa sua molti giorni. Abitava vicino ai padri e io ne ero assai lieta, perché potevo frequentarli più spesso, essendo grande il vantaggio che la mia anima traeva anche solo dal conoscere la santità dei loro costumi.

5. Questo padre cominciò ad avviarmi a maggior perfezione. Mi diceva che non dovevo tralasciare nulla per soddisfare completamente Dio. E lo faceva con molta abilità e dolcezza perché la mia anima, lungi ancora dall’essere forte, era assai fiacca, specialmente in fatto di rinuncia a certe amicizie che avevo. Anche se per causa loro non offendevo Dio, vi ero molto attaccata, tanto che mi sembrava un’ingratitudine lasciarle. E così dicevo al mio confessore che, poiché con esse non offendevo Dio, non v’era motivo di essere ingrata. Egli mi rispose di raccomandare la cosa al Signore, recitando per alcuni giorni il Veni Creator, affinché m’illuminasse su quel che era meglio fare. Un giorno, dopo essere stata a lungo in orazione e aver supplicato il Signore di aiutarmi a contentarlo in tutto, cominciai a dire l’inno e, mentre lo stavo recitando, mi colse un rapimento così improvviso che mi fece quasi uscire fuori di me, né potei mai dubitarne, essendo stato ben evidente. Fu la prima volta che il Signore mi fece la grazia di un rapimento. Udii queste parole: «Non voglio più che tu abbia conversazione con gli uomini, ma con gli angeli». Mi spaventai molto, perché il trasporto dell’anima fu grande e queste parole mi furono dette nella parte più intima dello spirito. Pertanto mi produssero sgomento anche se, d’altro canto, mi causarono grande conforto, che mi rimase, una volta passato lo spavento dovuto – credo – alla novità del caso.

6. Tutto ciò si è adempiuto perfettamente, perché da allora in poi non ho mai più potuto concepire amicizia, né aver consolazione, né amore speciale se non per coloro che so che amano Dio e procurano di servirlo, senza poter fare altrimenti, né m’importa che siano parenti o amici. Se non è una persona che ama Dio e che pratica l’orazione, mi è una croce assai penosa trattare con chiunque. È proprio così, mi pare, senza alcuna eccezione.

7. Da quel giorno mi sentii così animata a lasciare ogni cosa per amore di quel Dio che in un solo momento – mi sembra, infatti, che non fosse più di un momento – aveva voluto trasformare del tutto la sua serva, che non fu più necessario alcun comando. Il confessore, d’altronde, vedendomi così attaccata a quelle pratiche, non aveva osato impormene risolutamente la rinuncia. Forse aspettava che il Signore operasse il mio cambiamento, come infatti fece; io stessa disperavo di uscirne fuori perché lo avevo tentato altre volte, soffrendone a tal punto che avevo finito col lasciar perdere ogni tentativo, tanto più che mi sembrava che non fosse cosa sconveniente. Con questo rapimento, invece, il Signore mi diede la libertà e la forza di attuare tale rinuncia. Lo dissi al confessore e abbandonai tutto, secondo il suo comando. Fu di grande profitto anche alle persone con cui trattavo vedermi animata da questa risoluzione.

8. Sia eternamente benedetto Dio, per avermi dato in un solo istante la libertà che io non ero mai riuscita a conquistare, nonostante tutte le diligenze usate in molti anni e pur ricorrendo molte volte a tali sforzi che ne restava pregiudicata la mia salute. Ora, invece, trattandosi dell’opera di chi può tutto ed è il vero padrone del mondo, non mi procurò alcuna fatica.