Libro delle Fondazioni - Capitolo 29
Autore: Santa Teresa d'Avila
CAPITOLO 29
Vi si tratta della fondazione in Palencia del monastero di San Giuseppe di nostra Signora della Strada, il giorno della festa del re Davide del 1580.
1. Al ritorno dalla fondazione di Villanueva de la Jara, il nostro Superiore mi ordinò di recarmi a Valladolid, su richiesta del vescovo di Palencia, don Alvaro de Mendoza, il quale aveva accettato e protetto il nostro primo monastero di San Giuseppe di Avila, e sempre favorisce quanto riguarda l’Ordine riformato. Lasciato il vescovado di Avila e trasferitosi a Palencia, nostro Signore gli aveva ispirato il desiderio di fondare lì un altro monastero del nostro santo Ordine. Giunta a Valladolid, fui colpita da una malattia così grave che pensarono che io morissi. Mi rimase una tale svogliatezza e una così assoluta convinzione di non essere più buona a nulla che, nonostante le insistenze della nostra priora di Valladolid, la quale desiderava molto questa fondazione, non riuscivo a prendere la risoluzione di farla né vedevo su quale fondamento si potesse fare, perché il monastero doveva essere senza rendite e mi dicevano che non avrebbe potuto mantenersi, essendo la città assai povera.
2. Da più di un anno si parlava di questa e della fondazione di Burgos e mai mi ero sentita così contraria come allora. Vi scorgevo molti inconvenienti, pur essendo andata a Valladolid solo a questo scopo. Non so se ciò dipendesse dalla grave malattia avuta e dalla debolezza che mi era rimasta, o se il demonio volesse impedire il bene che ne è seguito. È certo che mi è causa di stupore e afflizione il vedere quanto la povera anima partecipi alle infermità del corpo, e molte volte me ne lamento con nostro Signore. Si direbbe che essa debba obbedire alle sue leggi, tanti sono i bisogni e le necessità che il corpo le oppone.
3. Mi sembra che una delle più grandi angosce e miserie di questa vita sia che lo spirito manchi della forza necessaria per avere il sopravvento sul corpo. Infatti, se avere malattie e patire forti dolori è certamente gravoso, quando l’anima mantiene il suo vigore ritengo che non sia nulla perché, considerando che ciò viene da Dio, essa ne trae motivo per lodarlo. Ma, patire da una parte e restare inerti dall’altra è una cosa terribile, specialmente per un’anima che ha nutrito ardenti desideri di non avere alcun riposo interiore ed esteriore, e dedicarsi tutta al servizio del suo gran Dio. In questo caso non v’è altro rimedio che la pazienza, la consapevolezza della propria miseria e l’abbandono alla volontà di Dio, affinché si serva di noi in tutto ciò che vuole e come vuole. Io mi trovavo allora in tale stato. Benché già convalescente, ero così stremata da aver perduto anche quella fiducia che sono solita ricevere da Dio quando si tratta di dare inizio a una fondazione. Tutto mi sembrava impossibile. Se allora avessi trovato una persona capace d’incoraggiarmi, ne avrei avuto un gran vantaggio, mentre gli uni aumentavano i miei timori, e la debole speranza che gli altri mi offrivano non bastava a vincere la mia pusillanimità.
4. Capitò lì un padre della Compagnia, chiamato il maestro Ripalda, gran servo di Dio, dal quale un tempo mi ero confessata. Lo misi al corrente della mia situazione e lo pregai di espormi il suo parere, dichiarandogli che desideravo mi tenesse le veci di Dio. Egli cominciò a farmi molto coraggio, assicurandomi che quella pusillanimità era un effetto della vecchiaia. Ma vedevo bene che non si trattava di questo; ora, infatti, sono più vecchia e non mi sento in quello stato. Anch’egli probabilmente lo sapeva, ma lo diceva nell’intento di mortificarmi e impedirmi di farne risalire la causa a Dio. Per la fondazione di Palencia, come per quella di Burgos, a cui dovevo contemporaneamente provvedere, non avevo alcuna risorsa, ma non era questo a rendermi esitante, perché sono solita cominciare con meno ancora. Il maestro Ripalda mi esortò dunque a non abbandonare in nessun modo l’impresa. Lo stesso aveva detto poco prima a Toledo un provinciale della Compagnia, che si chiama Baltasar Alvarez. Ma allora io stavo bene.
5. Ora, invece, tale esortazione non bastò a farmi decidere, anche se era molto opportuna: non riuscii a superare del tutto la mia esitazione, inceppata com’ero o dal demonio o – come ho detto – dalla malattia. Tuttavia, mi sentii più disposta. La priora di Valladolid, che aveva molto a cuore la fondazione di Palencia, mi spronava quanto poteva; ma, vedendomi così fiacca, temeva anche lei che non mi decidessi a farla. Venga, dunque, ora a rianimarmi il vero fervore, poiché gli uomini e gli stessi servi di Dio non bastano a darlo! Si vedrà così che spesso non sono io ad agire in queste fondazioni, ma colui che può tutto.
6. Un giorno, mentre, dopo la comunione, ero in questi dubbi e in procinto di rinunziare a qualunque fondazione, supplicai nostro Signore di darmi luce per adempiere in tutto la sua volontà, giacché il mio scarso zelo non era mai tale da raffreddare, anche minimamente, questo desiderio. Il Signore allora mi disse, a mo’ di rimprovero: Di che temi? Quand’è ch’io ti sono mancato? Io sono oggi quello che sono sempre stato; non lasciar di fare queste due fondazioni. Oh, gran Dio! Come sono diverse le vostre parole da quelle degli uomini! In virtù di esse rimasi così piena di coraggio e di decisione, che il mondo intero non sarebbe riuscito a frappormi ostacoli. Cominciai subito ad occuparmi della fondazione e nostro Signore, da parte sua, cominciò a darmi i mezzi per attuarla.
7. Presi con me due monache la cui dote doveva servirmi per l’acquisto della casa. Ormai avevano un bel dirmi che a Palencia non si poteva vivere d’elemosina; era come se non mi dicessero nulla. Vedevo bene che allora non si poteva pensare a provvederla di rendite, ma, poiché Sua Maestà mi ordinava di fondare il monastero, certo, avrebbe provveduto alle sue necessità. Pertanto, benché non fossi del tutto ristabilita, mi decisi a partire, nonostante i rigori della stagione; lasciai, infatti, Valladolid il giorno degli Innocenti del 1580, come ho detto prima, perché dal principio dell’anno seguente fino a San Giovanni un cavaliere del luogo ci aveva ceduto una casa da lui presa in affitto e poi lasciata per andare a vivere altrove.
8. Scrissi in proposito a un canonico di quella città. Non lo conoscevo, ma un suo amico mi aveva detto che era un gran servo di Dio. D’allora in poi fui convinta che vi avrebbe molto aiutate, perché il Signore stesso, come si è visto nelle altre fondazioni, sceglie in ogni luogo chi possa dare aiuto ad esse, conoscendo il poco di cui io sono capace. Mandai dunque a pregare quel canonico di farmi sgombrare la casa con la maggior segretezza possibile – vi stava ancora infatti un inquilino – e di non dire quale dovesse esserne l’uso. Ritenevo sempre più sicuro che della cosa non trapelasse notizia, nonostante la favorevole disposizione di alcune persone ragguardevoli, soprattutto del vescovo.
9. Il Canonico Reinoso (questo era il nome del sacerdote al quale avevo scritto) fece tutto così bene che non solo ottenne lo sgombro della casa, ma la provvide di letti e di molte altre comodità, dimostrandosi pieno di attenzioni. E ne avevamo bisogno, perché faceva un gran freddo e il giorno prima era stato di enorme fatica per noi, a causa di una nebbia così fitta che c’impediva quasi di vederci. Ciò nonostante, ci concedemmo ben poco riposo, finché non fu preparato il posto dove il giorno seguente si potesse celebrare la Messa prima che nessuno sapesse del nostro arrivo. Infatti, ho sperimentato che questo è il metodo migliore nelle fondazioni di cui parlo perché, se ognuno comincia a dire la sua, il demonio sconvolge ogni cosa e, pur non potendo riuscire a nulla, crea inquietudine. Si fece dunque così. L’indomani mattina, quasi sul far del giorno, celebrò la Messa un sacerdote, gran servo di Dio, di nome Porras, che ci aveva accompagnato insieme con Agustín de Victoria, un altro amico delle religiose di Valladolid. Quest’ultimo mi aveva prestato del denaro per sistemare la casa e mi aveva assistito durante il viaggio con ogni sorta di attenzioni.
10. Eravamo, me compresa, cinque religiose, più una suora che mi accompagnava da un po’ di tempo; è una conversa, ma così gran serva di Dio e così prudente che può essermi più utile di altre religiose coriste. Quella notte dormimmo ben poco, anche se – come ho detto – il viaggio era stato assai faticoso per le piogge cadute in continuazione.
11. Fui molto felice che si desse inizio alla fondazione nel giorno in cui si recitava l’Ufficio del re Davide, del quale io sono devota. Subito, la stessa mattina, feci avvisare l’illustrissimo vescovo, il quale ignorava la data del mio arrivo. Egli venne immediatamente sul posto, animato da quella grande carità che ha sempre avuto nei nostri riguardi. Ci promise di darci tutto il pane di cui avessimo bisogno e ordinò al vicario episcopale di provvederci di molte cose. Il nostro Ordine gli deve molto: chiunque leggerà queste fondazioni ha l’obbligo di raccomandarlo, vivo o morto, a nostro Signore. Lo chiedo in nome della carità. La gioia dimostrata dall’intera città fu così grande e così generale da apparire del tutto straordinaria, perché non ci fu nessuno che disapprovasse l’iniziativa. Vi contribuì molto il sapere che la fondazione era voluta dal vescovo per il quale tutti nutrono un grande amore. Del resto, questa gente ha la migliore indole e la più grande elevatezza di sentimenti che abbia mai visto. Mi rallegro pertanto ogni giorno di più d’aver fondato un monastero in quella città.
12. Siccome la casa non ci apparteneva, subito iniziammo le trattative per comprarne un’altra, perché la nostra, pur essendo in vendita, era assai malo situata. Con l’aiuto della dote di quelle religiose che erano destinate alla fondazione di Palencia, mi sembrava che si potesse farne il tentativo. Anche se ciò di cui disponevamo era poco, per quel luogo era molto. Però, se Dio non ci avesse dato i buoni amici che ci diede, tutto sarebbe stato vano. Il buon canonico Reinoso ci condusse un altro amico suo, che era il canonico Salinas, uomo di grande carità e intelligenza. Entrambi presero a cuore i nostri interessi come se si fosse trattato di cosa propria; anzi, più ancora, credo non abbiano mai cessato di avere per quel monastero ogni cura.
13. Vi è in Palencia una casa, oggetto di particolare devozione, dedicata a nostra Signora, una specie di romitorio, intitolato a Nostra Signora della Strada. Vi accorre molta gente dalla città e dai dintorni, piena di venerazione. Sua signoria, come tutti, ritenne che saremmo state bene vicino a quella chiesa. Non aveva annessa una casa, ma ce n’erano due lì nei pressi che, unite alla chiesa, ci sarebbero bastate. La chiesa ci doveva essere ceduta dal Capitolo e da una confraternita a cui apparteneva. Cominciammo allora le pratiche per ottenerne la proprietà. Il Capitolo ce ne fece subito dono; quanto alla confraternita, sebbene i suoi membri ci avessero dato non poco filo da torcere perché riuscissimo a convincerli, finì col cedere; come ho detto, gli abitanti di Palencia sono fra i più ricchi di virtù ch’io abbia mai visto.
14. Quando i proprietari delle due case seppero che intendevamo comprarle, cominciarono, com’è facile capire, ad alzarne il prezzo. Volli andare a vederle e ne ebbi una così cattiva impressione – io e le altre con cui ero –, che in nessun modo avrei voluto acquistarle. Si è poi costatato chiaramente che in questo aveva gran parte il demonio, spiacente come era che noi andassimo lì. Ai due canonici che trattavano l’affare esse sembravano troppo lontane dalla cattedrale; il che è vero, ma, d’altra parte, si trovavano nel quartiere più popoloso della città. Infine, fummo tutti d’accordo che quella residenza non ci conveniva e che bisognava cercarne un’altra. I due canonici vi si adoperarono con tanta cura e diligenza che mi facevano lodare di ciò il Signore: non tralasciavano di visitare tutte le case che sembravano adatte al nostro scopo, finché ne trovarono una di loro gusto, appartenente a un certo Tamayo. Aveva varie stanze disposte in modo particolarmente adatto a noi. Era vicina a quella di un illustre cavaliere chiamato Suero de Vega, nostro grande benefattore, il quale desiderava ardentemente, con altre persone del quartiere, che andassimo a stare lì.
15. Questa casa però non ci bastava e, benché ce ne offrissero, insieme, un’altra, la sua disposizione non era tale da offrire la possibilità, unendola alla prima, di sistemarci convenientemente. Tuttavia, per le informazioni che me ne davano, io desideravo acquistarla, ma quei signori non vollero far nulla senza che prima non l’avessi vista. A me rincresce tanto uscire fra la gente e avevo così gran fiducia in loro, che non c’era modo d’indurmi a farlo. Alla fine vi andai, e visitai anche le case di Nostra Signora, pur senza avere l’intenzione di acquistarle ma solo perché l’altro proprietario non credesse che l’unica soluzione ci fosse offerta da lui. Ripeto che sia a me sia alle religiose che mi accompagnavano, esse fecero una così cattiva impressione, che oggi ci meravigliamo di come ci siano potute apparire tanto sgradevoli. In tale disposizione d’animo ci recammo a visitare l’altra, ormai decise a non comprare che quella. Pur trovando in essa grandi inconvenienti, ci passammo sopra, benché fosse assai difficile potervi rimediare in quanto, per fare una cappella – e anche modesta – dovevamo privarci della parte migliore da destinare a uso di abitazione.
16. È davvero strano partire da preconcetti: tuttavia l’esperienza mi servì a non fidarmi di me stessa, anche se allora non ero la sola a ingannarmi. In conclusione, ce ne tornammo ben decise ad acquistare quella casa e nessun’altra, a pagare il prezzo richiesto dal proprietario – che era molto – e a scrivergli, perché non stava in città, ma poco lontano.
17. Sembrerà forse inopportuno che mi sia indugiata tanto a parlare dell’acquisto della casa, finché non si vedrà il fine che si proponeva il demonio distogliendoci dall’andare in quella di Nostra Signora; ogni volta che ci penso, ne provo spavento.
18. Quando ormai – come ho detto – eravamo tutti decisi a non comprarne altra, il giorno dopo, durante la Messa, mi venne un gran timore di sbagliare, accompagnato da un’inquietudine che non mi diede quasi alcuna possibilità di raccogliermi durante tutta la Messa. Andai a ricevere il santissimo Sacramento e, appena fatta la comunione, udii le seguenti parole, che mi fecero decidere fermamente a lasciare la casa che avevo fissata e a prendere quella di Nostra Signora: Questa ti conviene. Pensai subito alla difficoltà che avrei incontrato nel desistere da un affare le cui trattative erano già inoltrate e la conclusione così vivamente desiderata da coloro che vi si erano adoperati con tanto zelo. Il Signore riprese: Essi non sanno quanto io sia offeso in quel luogo. Il monastero vi porrà efficace rimedio. Mi venne in mente che potesse essere un inganno, sebbene non ci fosse ragione di crederlo, riconoscendo io bene , dagli effetti operati in me, che si trattava dello spirito di Dio. Aggiunse allora subito: Sono io.
19. Rimasi pertanto del tutto tranquilla e libera dal turbamento avuto prima, anche se non sapevo a quale rimedio appigliarmi per annullare il già fatto e ritrattare tutto il male che avevo detto di quella casa, specialmente alle mie consorelle, con le quali avevo rincarato la dose delle critiche, dichiarando loro che mi compiacevo di non aver voluto che vi fossimo andate senza vederla. È vero che di questo non m’importava molto, sapendo che esse avrebbero approvato ogni mia decisione; mi preoccupavo degli altri, i quali desideravano quell’acquisto; visto che cambiavo così facilmente parere, mi avrebbero certo giudicata volubile e leggera, difetti che detesto moltissimo. Tutti questi pensieri, peraltro, non facevano vacillare né poco né molto la mia decisione di andare nella casa di Nostra Signora, dei cui disagi già non mi ricordavo più. Se la presenza delle nostre religiose poteva evitare anche un solo peccato veniale, tutto il resto non aveva alcuna importanza. Credo che chiunque di loro, se avesse saputo quello che sapevo io, sarebbe stata dello stesso parere.
20. Ricorsi a questo mezzo: io mi confessavo allora dal canonico Reinoso, uno dei due sacerdoti che mi aiutavano. Fino a quel momento non gli avevo mai parlato delle grazie soprannaturali di cui ero favorita, non essendosi presentata l’occasione che lo rendesse necessario. Siccome in casi di questo genere sono solita, per maggiore sicurezza, seguire il consiglio del confessore, decisi di parlargliene in grande segreto. Peraltro non mi sentivo disposta a lasciare di fare ciò che mi era stato detto senza che, dovendolo fare, ciò non mi procurasse grande afflizione. Ma avrei seguito ugualmente la decisione del padre, nella speranza che nostro Signore, come già altre volte, avrebbe fatto cambiar parere al confessore affinché, quantunque fosse inizialmente di opinione diversa, mi consigliasse conformemente ai suoi desideri.
21. Gli dissi anzitutto quante volte nostro Signore si degnasse darmi le sue istruzioni in questo modo e che da molti effetti fino allora costatati si era potuto vedere che si trattava del suo spirito. Gli raccontai quindi quanto avveniva, aggiungendo che avrei fatto quello che a lui sembrasse opportuno, quand’anche dovesse riuscirmi penoso. Egli è molto saggio, oltre ad essere un grande santo, e, benché giovane, capace di consigliare bene in qualunque circostanza: pur rendendosi conto che un tale cambiamento avrebbe attirato l’attenzione della gente, non volle impedirmi di fare ciò che mi era stato detto. Io gli proposi di aspettare il ritorno del messo ed egli fu d’accordo. Da parte mia speravo che Dio avrebbe rimosso ogni difficoltà. E fu così perché il padrone della casa, benché gli avessimo dato tutto quello che voleva e che aveva chiesto, avanzò la pretesa di altri trecento ducati; ciò appariva pazzesco, perché gliela si pagava già troppo. Vedemmo in questo contrattempo la mano di Dio in quanto, avendo egli interesse a vendere ed essendosi già convenuto il prezzo, aumentarlo era cosa assurda.
22. Fu per noi un ottimo pretesto per rimediare alla situazione: gli dicemmo infatti che con lui non si sarebbe fatto più nulla. Tuttavia ciò non serviva a giustificarci completamente perché, per trecento ducati, era chiaro che non avremmo dovuto rinunziare a una casa che sembrava adatta a un monastero. Dissi al mio confessore di non preoccuparsi della mia reputazione, visto che egli mi approvava. Lo pregai al tempo stesso di riferire al suo compagno che ero decisa a comprare la casa di Nostra Signora, fosse cara o a buon mercato, buona o cattiva. L’altro, che è assai perspicace, pur non essendogli stato detto nulla, nel vedere un cambiamento così improvviso, credo ne immaginò il motivo e non insistette oltre a questo riguardo.
23. Abbiamo poi capito tutti quale grave errore avremmo commesso nel comprare l’altra casa: ci riempie di meraviglia ora vedere fino a che punto sia preferibile questa, prescindendo dal fatto principale, evidentissimo, che in essa si serve nostro Signore e la sua gloriosa Madre, e si eliminano molte occasioni di peccato. Non essendo che un romitorio, nelle frequenti veglie notturne potevano accadere molte cose che il demonio si rammaricava di veder cessare. Per questo motivo ci rallegriamo di poter fare qualcosa per la Vergine nostra Madre, Signora e patrona, ed è stato un grave torto non averlo fatto prima, perché doveva bastarci questo solo motivo per andarvi. È chiaro che il demonio faceva di tutto per accecarci in mille guise, visto che questa casa offre molte comodità che non si troverebbero altrove. Fu grandissima, in città, la gioia di tutti, essendo vivamente desiderata la nostra presenza qui; anche coloro che propendevano per l’altra casa finirono con il ritenere ottima la nostra scelta.
24. Sia benedetto per sempre colui che mi ha dato luce a questo riguardo, come me la dà ogni volta che riesco a fare qualcosa di buono, perché sono stupita ogni giorno di più della mia inettitudine in tutto. e non si deve pensare che questa sia umiltà, ma una costatazione che ogni giorno diventa più chiara. Sembra volontà del Signore che io e tutti riconosciamo che è solo lui a compiere queste opere e che, come col fango diede la vista al cieco, così permette che un essere di tale cecità quale son io faccia cose che cieche non sono. Non c’è dubbio, infatti, che in tale circostanza diedi prova – come ho detto – di assoluta cecità, e ogni volta che ci penso, vorrei di nuovo rendere lode al Signore per la sua grazia. Ma non sono capace neanche di questo, e non so come possa sopportarmi. Sia benedetta la sua misericordia! Amen.
25. Questi santi amici della Vergine si affrettarono dunque a prendere accordi per l’acquisto delle case che, a mio giudizio, furono cedute a buon prezzo. Ma ebbero molto da faticare, perché in ognuna delle nostre fondazioni Dio vuole che ci siano motivi di merito per quelli che ci aiutano: io sono l’unica a non far nulla, come ho detto altre volte, né vorrei cessare di dirlo, perché è la verità. Ebbero a sostenere infatti un’enorme fatica nel sistemare la casa, oltre a darci anche denaro per farlo, perché io non ne avevo più, con l’aggiunta delle loro garanzie. Nelle altre fondazioni, invece, prima di trovare un garante, e non per somme di tale valore, soffrivo grandi pene. Ciò è naturale perché, non avendo io neanche un soldo, chi rispondeva di noi non poteva fare affidamento che su nostro Signore. Ma Sua Maestà mi ha favorito sempre di tanta grazia che mai nessuno ha perso nulla per farci da garante; sono stati tutti pagati molto bene, e questa è per me una grazia straordinaria.
26. Siccome i proprietari non si contentavano dei nostri due garanti, essi ricorsero al vicario episcopale che, se ben ricordo, si chiamava Prudencio, così almeno mi dicono ora, perché, chiamandolo sempre «il vicario», non ne conoscevo il nome. È con noi di tanta carità che gli dobbiamo – ora come allora – molto. Incontrati i due canonici, chiese loro dove andassero. Essi risposero che erano in cerca di lui per pregarlo di firmare quella cauzione. Si mise a ridere e disse: «E per una garanzia di una simile somma vi rivolgete a me in questo modo?». Quindi subito, senza scendere dalla mula, appose la sua firma, cosa ben degna di nota per i tempi che corrono.
27. Quante lodi avrei da fare alla carità che trovai in Palencia, sia da parte della città, sia dei singoli abitanti. Non c’è dubbio che mi sembrava di essere ai tempi della Chiesa primitiva – o per lo meno di fronte a una carità di cui si è perduto l’uso in questo mondo – nel vedere che, pur non avendo rendite e dovendo essere mantenute, non solo ciò non ci creava ostacoli, ma era motivo perché tutti ci dicessero che Dio accordava loro una grazia straordinaria. Del resto, a considerare la cosa con la luce di Dio, dicevano la verità perché, quand’anche la grazia non fosse che quella di avere una chiesa in più ove si trova il santissimo Sacramento, è già grande.
28. Sia egli eternamente benedetto! Amen. È sempre più evidente infatti, che ha voluto la fondazione del monastero in quel luogo a causa di alcuni inconvenienti che ora non si verificano più perché, essendo il romitorio meta di veglie notturne e così solitario, non tutti vi andavano per devozione. Ma ora queste cose vanno scomparendo. L’immagine di nostra Signora non aveva una decente collocazione. Le ha fatto erigere una cappella a sue spese il vescovo don Alvaro de Mendoza, e a poco a poco aumenta il numero delle iniziative a onore e gloria di questa beata Vergine e di suo Figlio: sia per sempre lodato! Amen. Amen.
29 Quando la sistemazione della casa fu completata e giunse il momento che le monache vi si trasferissero, il vescovo volle che ciò avvenisse con gran solennità. Per questo motivo, lo si fece un giorno dell’ottava del santissimo Sacramento, in cui egli stesso venne da Valladolid, con la partecipazione del Capitolo, degli Ordini religiosi e di quasi tutta la città. C’era anche molta musica. Dal luogo della nostra dimora ci recammo tutte in processione, con le nostre cappe bianche e con i veli calati sul viso, a una parrocchia che stava vicino alla casa di Nostra Signora, la cui immagine fu portata fuori a incontrarci. Lì si prese il santissimo Sacramento e lo si portò nella nostra cappella con grande solennità e con ammirevole ordine. Tutti erano presi da grande devozione. C’erano anche le monache che avevo fatto venire per la fondazione di Soria, con in mano le candele. Credo che il Signore, quel giorno, in tale città fu molto lodato. Piaccia a lui essere così lodato sempre da tutte le creature! Amen. Amen.
30. Mentre ero a Palencia, Dio volle che si facesse la separazione degli scalzi dai calzati: essi venivano a formare una provincia a parte, che era quanto desideravamo per la nostra pace e tranquillità. Su richiesta del nostro cattolico re, don Filippo, giunse da Roma un Breve molto ampio che regolava la questione. Sua Maestà, che ci aveva favorito fin da principio, ci aiutò molto per il conseguimento di questo fine. Si tenne il Capitolo in Alcalá, radunatovi da un reverendo padre domenicano, Juan de las Cuevas, che era allora priore di Talavera. Designato da Roma e nominato da Sua Maestà, aveva tutta la santità e l’intelligenza richieste da tale circostanza. Il re pagò le spese del Capitolo, favorito anche, per suo ordine, dall’intera Università. L’adunanza si tenne, in tutta pace e concordia, nel collegio degli scalzi di quella città, intitolato a san Cirillo. Fu eletto provinciale il padre maestro fra Girolamo Graziano della Madre di Dio.
31. Siccome questi padri scriveranno un libro a parte come ciò ebbe luogo, non c’era motivo che ne parlassi. Se l’ho fatto è perché, mentre ero a Palencia per la fondazione di quel monastero, nostro Signore portò a termine una questione così importante a onore e gloria della sua santa Madre. Si tratta infatti del suo Ordine, essendo ella nostra Signora e patrona. Provai allora una delle più grandi gioie e consolazioni di cui potevo godere in questa vita. Avevo trascorso più di venticinque anni tra prove, persecuzioni e sofferenze, che sarebbe troppo lungo raccontare, e solo nostro Signore sa quali siano state. Vedendo tutto ormai concluso, mi sentii il cuore pieno d’una tale gioia che non può essere intesa se non da chi conosce le pene che si sono patite. Avrei voluto che il mondo intero rendesse lode a nostro Signore e si unisse a me nel raccomandargli il nostro santo re don Filippo, per mezzo del quale egli ha condotto le cose a tanto buon fine. Se non fosse stato per lui, la nostra opera sarebbe crollata perché il demonio era ricorso ad astuti artifizi.
32. Ora, calzati e scalzi siamo tutti in pace e nessuno ci è di ostacolo nel servire il Signore. Per questo, fratelli e sorelle miei, visto che egli ha ascoltato così bene le nostre suppliche, affrettiamoci a servire Sua Maestà. Considerino i religiosi qui presenti, che ne sono testimoni oculari, le grazie che ci ha donato e le sofferenze e le ansie da cui ci ha liberato. Chi verrà dopo di noi, trovando tutto sistemato, non lasci mai indebolire in nessuna casa la perfezione, per amore di nostro Signore. Non si dica di essi ciò che si dice di certi Ordini, cioè che gli inizi sono stati lodevoli. Noi cominciamo ora. Procuriamo di cominciare sempre e d’andare innanzi di bene in meglio. Badate che, servendosi di ben piccole cose, il demonio apre la breccia attraverso cui passano quelle assai grandi. Non vi accada mai di dire: «Questo non ha alcuna importanza; sono tutte esagerazioni». Oh, come tutto è grave, figlie mie, quando si cessa di andare avanti!
33. Per amore di nostro Signore vi supplico di ricordarvi della rapidità con la quale tutto finisce, della grazia di cui egli ci ha favorito nel farci abbracciare quest’Ordine e del rigoroso castigo che toccherà a chi introdurrà in esso qualche rilassamento. Tenete sempre gli occhi fissi sulla stirpe di quei sommi profeti da cui discendiamo. Quanti santi abbiamo in cielo che hanno portato quest’abito! Cerchiamo di avere la benedetta presunzione di essere, con la grazia di Dio, simili ad essi. La battaglia durerà poco, sorelle mie, e la meta è eterna. Lasciamo stare le cose di quaggiù che in se stesse non sono nulla, per occuparci solo di quelle che ci avvicinano a questo fine che non ha fine, e ci aiutano meglio ad amare e a servire colui che vivrà per tutti i secoli. Amen. Amen. Siano rese grazie a Dio!