L’unità nella varietà
Seconda meditazione nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
Autore: Autori Cristiani
– unità all’interno della Chiesa.
► L’ordine della carità.
► L’unità nella varietà.
All’inizio degli Atti degli Apostoli si racconta che i primi cristiani, immediatamente dopo l’Ascensione di Gesù, «erano assidui e concordi nella preghiera» (At 1, 14). Poco più avanti, nel descrivere quella piccola comunità, si dice anche che «la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» (At 4, 32). Nel terzo giorno dell’ottavario per l’unità dei cristiani, in armonia con queste considerazioni della Sacra Scrittura, vogliamo meditare su uno dei caratteri della Chiesa: l’unità.
Proprio riflettendo sull’unità che vivevano i primi seguaci di Gesù, san Josemaría ci ricordava che «parte essenziale dello spirito cristiano è vivere non solo in unione con la Gerarchia ordinaria – Romano Pontefice ed Episcopato – ma anche sentendo l’unità con gli altri fratelli nella fede. […] Bisogna far rivivere quella fraternità che i primi cristiani sentivano così profondamente. In tal modo ci sentiremo uniti, amando al tempo stesso la varietà delle vocazioni personali»[1]. Tutti noi battezzati siamo chiamati a stimolare l’unità all’interno della Chiesa nostra Madre, evitando tutto ciò che comporta divisione, perché «l’unità è sintomo di vita»[2]. È un programma di vita che s’irradia nel Corpo di Cristo in cerchi concentrici: per prima cosa s’impara ad amare e a vivere l’unità nella propria famiglia, con i più vicini; poi l’unità all’interno della Chiesa, amando i diversi carismi suscitati dallo Spirito Santo; finalmente, si desidera e si cerca l’unità anche con i cristiani non cattolici.
Questa coesione interiore è un dono di Dio che poggia anche sul nostro impegno personale a superare barriere ed eliminare ostacoli che la rendono difficile. Con gli occhi fissi su quella unità che vivevano i primi cristiani, chiediamo al Signore la grazia di apprezzare la varietà che possiamo trovare all’interno della Chiesa. grazie alla quale essa «si presenta come un organismo ricco e vitale, non uniforme, frutto dell’unico Spirito che conduce tutti ad unità profonda, assumendo le diversità senza abolirle e realizzando un insieme armonioso»[3].
Nelle scene del Vangelo vediamo che Cristo s’intrattiene con gruppi diversi di persone: con dottori della legge, con lavoratori di tutti i tipi, con persone che incontra durante gli eventi religiosi e sociali dell’ambiente in cui viveva, oppure con le grandi folle alle quali rivolgeva la sua predicazione. Tuttavia siamo anche testimoni che, date le condizioni di spazio e di tempo, non tratta tutte le persone con la stessa intensità dal punto di vista umano. «Spesso – ci dice il prelato dell’Opus Dei –, il Signore dedica più tempo ai suoi amici»[4]. Così vediamo, per esempio, che trascorre diversi pomeriggi nella casa di Betania o si ritira per alcuni momenti con i suoi discepoli più vicini.
In modo simile, sentendo la nostalgia dell’unità fra tutti i cristiani, non possiamo perdere di vista ciò che san Tommaso d’Aquino chiama ordo caritatis[5], l’ordine dell’amore, che ci induce a preoccuparci in primo luogo per l’unità con quelli ci sono stati affidati in maniera più prossima nella Chiesa. San Josemaría faceva notare che nell’Opera «abbiamo sempre voluto bene ai non cattolici: amiamo tutte le anime del mondo! Però con ordine, con l’ordine della carità. Prima di tutto i fratelli nella fede»[6]. Si basava sulla lettera di san Paolo ai Galati, quando l’apostolo esorta proprio a fare il bene a tutti, ma specialmente a quelli con i quali condividiamo la medesima fede (cfr. Gal 6, 10).
La carità autentica è universale e, nello stesso tempo, ordinata. Per esempio, meditando sull’unità nella Chiesa, è naturale, per chi fa parte dell’Opus Dei, pensare in primo luogo alla comunione reale che ha con i propri fratelli spirituali nell’Opera, con i quali è unito da forti legami di fraternità. «Niente c’è tra voi che possa dividervi»[7], esortava con insistenza sant’Ignazio di Antiochia, ben sapendo che questa unità, vissuta seguendo l’esempio di Cristo, ci rende felici e attrae altre persone.
San Paolo, dopo aver parlato a quelli di Corinto della radicale uguaglianza di tutti i membri del Corpo Mistico di Cristo, continua: «Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? […]. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue?» (1 Cor 12, 18-19.28-30). La Chiesa esercita la sua missione per opera di tutti i suoi figli, anche se in maniere diverse; di tutti ha bisogno per portare avanti i piani divini.
La grande varietà di vocazioni e di carismi esistente «nella Chiesa è una ricchezza molteplice del Corpo Mistico, all’interno della sua divina unità: un solo Corpo, con una sola Anima; un solo pensare, un solo cuore, un solo sentire, una sola volontà, un solo amare; ma una molteplicità di organi e di membra»[8]. All’interno della mirabile pluralità che mostra l’unità della Chiesa, il Signore ha voluto includere modi diversi di servire. Il Concilio Vaticano II indica in concreto che «per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali»[9].
Perciò «sarebbe un grande errore confondere l’unità con l’uniformità e insistere, per esempio, nell’unità della vocazione cristiana, senza considerare nello stesso tempo la diversità di vocazioni e di missioni specifiche, che trovano posto in quella chiamata generale e che sviluppano i loro molteplici aspetti di servizio a Dio»[10]. «È molto importante – insisteva san Josemaría – che ognuno si sforzi di essere fedele alla chiamata divina, perché solo così potrà contribuire al bene della Chiesa con il suo apporto specifico, in virtù del carisma ricevuto da Dio»[11].
La prima comunità cristiana a Gerusalemme perseverava unita nella preghiera e nella carità «cum Maria, Matre Iesu» (At 1, 14). Intorno alla Madonna, anche la Chiesa del nostro tempo crescerà in unità se viviamo uniti ai nostri fratelli e se ognuno si adopera per vivere fedelmente la missione ricevuta.
[1] San Josemaría, Colloqui, n. 61.
[2] San Josemaría, Cammino, n. 940.
[3] Benedetto XVI, Angelus, 24-I-2010.
[4] Fernando Ocáriz, Lettera, 1-XI-2019, n. 2.
[5] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 26.
[6] San Josemaría, Instruzione, maggio 1935 / 14-IX-1950, nota 151.
[7] Sant’Ignazio d’Antiochia, Epistola ad Magnesios, 6, 2.
[8] San Josemaría, Lettera 15-VIII-1953, n. 3.
[9] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31.
[10] San Josemaría, Lettera 15-VIII-1953, n. 4.
[11] San Josemaría, Colloqui, n. 61.
► La Chiesa è santa per la sua origine e i suoi fini.
► La lotta per la santità nei suoi membri.
► I santi sono un vincolo di unità.
La Chiesa è stata voluta e fondata da Cristo, adempiendo così la volontà di suo Padre. Inoltre è assistita continuamente dallo Spirito Santo. In definitiva, si tratta di un’opera continua della Trinità Santissima. Su questa realtà – la sua origine trinitaria – si fonda il secondo carattere della Chiesa che prenderemo in considerazione in questo quarto giorno dell’ottavario per l’unità dei cristiani: la sua santità. Papa Francesco ricorda che la fiducia nella santità della Chiesa «è una caratteristica che è stata presente fin dagli inizi nella coscienza dei primi cristiani, i quali si chiamavano semplicemente “i santi” (cfr At 9,13.32.41; Rm 8,27; 1 Cor 6,1), perché avevano la certezza che è l’azione di Dio, lo Spirito Santo che santifica la Chiesa»[1].
In effetti, la Chiesa è santa perché procede da Dio, che è santo. La Chiesa è santa perché santo è Gesù Cristo nostro Signore, che mediante il suo sacrificio sulla croce «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5, 25-26). È santa perché è guidata dallo Spirito Santo, fonte inesauribile della sua santità, che fu inviato «il giorno di Pentecoste […] per santificare continuamente la Chiesa»[2]. Diciamo che è santa anche perché il suo fine è la gloria di Dio e tende alla vera felicità degli uomini. Infine, la Chiesa è santa perché lo sono i mezzi che impiega per raggiungere il suo fine: la Parola di Dio e i Sacramenti.
Tutta questa stimolante realtà della Chiesa non ci nasconde, tuttavia, che malgrado la sua origine trinitaria e i suoi mezzi salvifici, la sua santità visibile può essere oscurata dai peccati dei suoi figli. San Josemaría ci faceva notare anche che la Sacra Scrittura «dà ai cristiani il titolo di gens sancta (1 Pt 2, 9), popolo santo, […] composto da creature con le loro miserie: questa apparente contraddizione segna un aspetto del mistero della Chiesa»[3]. Considerare la bellezza del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa e tutti i motivi per i quali è santa, ci può spingere a rinnovare il nostro desiderio di manifestare nella nostra vita la luce della sua santità originaria dei mezzi e dei fini.
Davanti al mistero della Chiesa occorre uno sguardo di fede. «Darebbe prova di scarsa maturità – osservava san Josemaría, riferendosi a questa essenziale visione soprannaturale – chi, davanti ai difetti e alle miserie di coloro che appartengono alla Chiesa, chiunque essi siano – e per quanto alte siano le loro funzioni –, sentisse diminuire la sua fede nella Chiesa e in Cristo. La Chiesa non è governata né da Pietro, né da Giovanni, né da Paolo; è governata dallo Spirito Santo, e il Signore ha promesso che rimarrà al suo fianco “tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli” (Mt 28, 20)»[4].
Non è strano, tuttavia, che le persone che desiderano vivamente avvicinarsi alla Chiesa fissino la loro attenzione sui suoi membri, in quanto sono chiamati a incarnare il messaggio di gioia che ci è stato affidato. È vero che spesso noi cattolici non abbiamo saputo rispecchiare la santità della Chiesa nostra Madre e abbiamo «nascosto più che manifestato il genuino volto di Dio»[5]. La nostra fede nella santità della Chiesa ci induce a chiederla con maggiore insistenza al Signore per ognuno di noi, riconoscendo di avere un profondo bisogno di essere aiutati da Lui. Benedetto XVI diceva, durante un incontro ecumenico, la nostra santità di vita dev’essere il cuore dell’incontro e del movimento ecumenico[6].
In questo senso, i difetti dei membri della Chiesa – i nostri difetti e i nostri peccati personali – stimolano i nostri desideri di convertirci e ci portano a riparare e a pregare con maggiore insistenza. Tutto ciò senza perdere di vista che la santità della Chiesa si trova, principalmente, nello stesso Cristo. «La Chiesa cattolica sa che, in nome del sostegno che le proviene dallo Spirito, le debolezze, le mediocrità, i peccati, a volte i tradimenti di alcuni dei suoi figli, non possono distruggere ciò che Dio ha infuso in essa in funzione del suo disegno di grazia»[7]. Con ferma fiducia nei disegni di Dio, san Josemaría ci ricordava che «nostra Madre è Santa, perché è nata pura e continuerà a essere senza macchia per l’eternità. Se qualche volta non riusciamo a intravedere la bellezza del suo volto, siamo noi a dover pulire gli occhi; se notiamo che la sua voce non ci aggrada, curiamo la durezza delle nostre orecchie che ci impedisce di cogliere, nel loro tono, i richiami del Pastore amoroso»[8].
È sorgente di speranza sapere che «lungo l’arco della storia, e anche oggi, ci sono tanti cattolici che si sono effettivamente santificati: giovani e vecchi, celibi e sposati, sacerdoti e laici, uomini e donne. La santità personale di tanti fedeli – oggi come ieri – non fa rumore. In genere non riconosciamo la santità di tante persone qualsiasi, che lavorano e vivono in mezzo a noi»[9]. La santità è il volto più bello della Chiesa e risplende, con discrezione, in molte persone che ci stanno attorno: in coloro che sono impegnati a servire e rendere la vita più gradevole agli altri; in coloro che, infaticabili, lavorano per portare nelle loro case il minimo indispensabile; in coloro che danno un’importante testimonianza di fede nell’accettare con pace molte difficoltà, la malattia o la vecchiaia. Tutti questi sacrifici, pur rimanendo invisibili, costituiscono la vera forza della Chiesa, anche per dare vigore alla sua unità.
Nello stesso tempo, molti cristiani sono già stati beatificati o canonizzati, e sono di stimolo a noi che siamo ancora in cammino. Dato che tutti insieme facciamo parte della medesima Chiesa, membra di uno stesso Corpo, questa grande folla di santi ci protegge, ci sostiene e ci conduce[10]. Molti di loro, per ispirazione divina, si sono impegnati con modalità diverse a propugnare l’unità fra tutti i cristiani: san John Henry Newman, convertito e già anglicano; santa Elizabeth Hesselbland di Svezia che, appartenente a una famiglia luterana, rifondò l’ordine delle brigidine; san Josafat, ucraino, morì alla ricerca dell’unità dei cristiani in terre slave; la beata Maria Sagheddu, che offrì la propria vita a Dio per l’unità dei cristiani morendo a venticinque anni nei pressi di Roma; san Giovanni Paolo II, che ha lottato infaticabilmente per l’ecumenismo durante il suo pontificato; infine, tanti martiri cattolici e non cattolici che hanno testimoniato insieme la loro fede, come è accaduto in Uganda con il catechista Carlos Lwanga e i suoi compagni. La scoperta di esempi di santità anche tra i nostri fratelli separati darà un inestimabile impulso alla ricerca dell’unità.
Il Concilio Vaticano II, proprio nella sua Costituzione dogmatica sulla Chiesa, dichiara che i suoi membri, sentendosi chiamati a promuovere l’unità, «si sforzano ancora nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come il modello della virtù davanti a tutta la comunità degli eletti»[11]. Amare Maria, Mater Ecclesiae, ci aiuterà ad amare di più la Chiesa. Ella ci insegnerà a sentirci responsabili della santità di tutti i membri del Corpo Mistico di Cristo, cammino imprescindibile per raggiungere l’unità fra tutti i cristiani.
[1] Papa Francesco, Udienza generale, 2-X-2013.
[2] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 4.
[3] San Josemaría, Lealtà verso la Chiesa, in La Chiesa nostra Madre, Ares, Milano 1993, n. 22-23.
[4] Ibid., n. 24.
[5] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 19.
[6] Cfr. Benedetto XVI, Discorso, 19-VIII-2005.
[7] San Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, n. 11.
[8] San Josemaría, Lealtà verso la Chiesa, in La Chiesa nostra Madre, Ares, Milano 1993, n. 25.
[9] Ibid., n. 22.
[10] Cfr. Benedetto XVI, Omelia, 24-IV-2005.
[11] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 65.
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