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Tutto è dono per un figlio di Dio. Povertà & vita donata - XXXVI Convegno Universitario di Castelromano organizzato dalla Fondazione Rui

Spread, povertà e Gesù Cristo (2/3)

Autore: Don Mauro Leonardi

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8). Cos’hai che non hai ricevuto? (1 Cor 4,7). Questa è la logica di Dio, questa è la logica delle relazioni tra il Padre e il Figlio, e per questo Gesù invita il discepolo a vivere di questa logica. Gli sta semplicemente domandando di fare quello che Lui fa da sempre nell’eternità e nel tempo da quando ha pronunciato il suo “eccomi” nel seno della Trinità entrando nella storia dell’uomo (cfr Eb 10,7).

Cominciamo a capire che le parole di Paolo nella 2 Cor 8.9 (“Conoscete infatti la grazia del Signore Gesù Cristo: da ricco che era, si fece povero per voi, perché voi diventaste ricchi della sua povertà”) dicono qualcosa di interessante. La povertà non è fine a sé stessa. Cristo si fa povero per arricchire l’uomo. Questo movimento non va dimenticato. Poiché tutto è amore, dietro ogni virtù c’è una relazione e questo accade anche per la povertà: c’è una relazione che rende ragione della logica del dono. Altrimenti la povertà sarebbe “un nulla”, anzi potrebbe persino essere orgoglio o superbia. Quando Paolo scrive nel famosissimo Inno della carità e se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe (1 Cor 13,3), sta dicendo proprio questo. Se anche io distribuissi tutti i miei beni e tutta la mia vita e persino il mio corpo, ma non fossi quell’uomo impoverito davanti a Dio di quella povertà che sono la gratuità e la carità, non servirebbe proprio a nulla.

Tutta la storia della Chiesa ci insegna la verità di quanto ho appena detto. Nel Medio Evo erano nati i cosiddetti movimenti “pauperistici”, il cui fine era tornare alla povertà evangelica, alla radicalità del Vangelo, ma solo uno di essi non fu giudicato dalla Chiesa come eretico, e fu il francescanesimo. Avvenne non perché Francesco fosse più radicale nella ricerca della povertà materiale, o perché il suo modo di essere povero fosse dissimile da quella di catari, valdesi, via dicendo; tanto meno ciò avvenne perché la Chiesa non fosse capace di leggere i segni dei tempi e di riconoscere nel sorgere di questi movimenti una parola di Dio. Il motivo della condanna fu che gli altri movimenti “presero le distanze” dal papato: ci fu il venir meno della comunione, il non accettare di vivere la propria povertà in seno alla Chiesa, a servizio della Chiesa. Proprio questa invece fu la grande intuizione di Francesco: andò a depositare nelle mani del papa il suo desiderio di vivere secondo il vangelo, cioè andò ad arricchire la Chiesa – “divenne povero…” – del dono che Dio gli aveva fatto. Solo dopo, con il tempo, il Papa scoprì che quell’uomo era anche una parola per la Chiesa.

La povertà nella Chiesa – cioè in Cristo – è premessa di solidarietà, di condivisione, in una parola di relazione. Guardo il volto del fratello che ho davanti, gli dono la mia vita – cioè lo arricchisco della mia stessa vita – e così, inevitabilmente, divento povero. A volte non divento povero di cose materiali ma, invece, sempre, lo divento di me. “Povero di me” vuol dire che c’è “meno me” perché ci sia di più l’altro: cioè dovrò essere aperto al mistero dell’altro in ogni frangente. Credo che si possa leggere così la famosa beatitudine riservata ai poveri in spirito: Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3). Il regno dei cieli – che è Gesù stesso, che è la logica dell’amore che lui ci ha insegnato – è già ora, cioè già da adesso, per coloro che vivono in questo modo. Paolo dice che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e questa è l’unica parola di Gesù esterna al vangelo (Atti 20,35).

 

Tutto è dono per un figlio di Dio, ma questo non può essere un semplice slogan da guardare con la superficialità di chi pensa “Dio ci penserà”. Noi possiamo dire che tutto è dono per un figlio di Dio solo nella misura in cui riconosciamo che tutto ci è già stato donato nel Figlio suo. Se quel Padre, ricco di misericordia, ci ha dato ciò che aveva di più prezioso, certo non mancherà di prendersi cura di noi: figlio tutto ciò che mio è tuo.

Tutto è dono perché un figlio di Dio può stare nella storia e nella realtà solo con la logica del dono, del farsi dono, altrimenti non ha senso perché cessiamo di rimanere nella “posizione” dei figli, del Figlio. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Il senso ampio della povertà è la carità. Anche laddove la Chiesa ha conosciuto carismi che sembrano richiamare alla radicalità di una povertà assoluta, si scopre che tutto questo vive nella logica dell’amore. Prima ho citato S. Francesco. Questo santo ad esempio amava dire che i frati minori erano stati dati al mondo perché la gente potesse vivere la possibilità della carità: ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me, cioè aveva la coscienza profonda di permettere all’altro di assomigliare al grande Elemosiniere che ci aveva fatto dono del Figlio suo (cfr. FF 659).

Questa è la radicalità del Vangelo e nella prossima lezione dovremo capire come vivere tutto ciò nel mondo. Perché essere poveri non vuol diventare dei ‘pitocchi’ (per altro il termine greco che indica la povertà suona proprio così, ptkos) ma occorre entrare nella logica della gratuità.

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