Natale, la felice notizia della venuta di Gesù: modello di vita per tutti
Meditazione per il Natale
Autore: Santo Curato d'Ars
Quale grande gioia, fratelli miei, informare un moribondo che un medico sapiente sta per farlo retrocedere dalla soglia della morte, per rimetterlo in perfetta salute!
Ma infinitamente più felice è la notizia che l’angelo annuncia a tutti gli uomini, per mezzo dei pastori! Il demonio aveva inferto alle nostre anime delle ferite mortali: in esse aveva iniettato le tre passioni funeste dalle quali derivano tutte le altre; e cioè, l’orgoglio, l’avarizia e la sensualità.
Sì, fratelli miei, tutti noi eravamo alla mercè di queste passioni vergognose, come malati disperati che non aspettano altro che la morte eterna, se Gesù Cristo non fosse venuto in nostro aiuto. Ma questo tenero Salvatore viene al mondo nell’umiliazione, nella povertà, nelle sofferenze, per distruggere questa opera del demonio, e per applicare dei rimedi efficaci alle ferite crudeli che questo antico serpente ci aveva arrecato. Sì, fratelli miei, è questo tenero Salvatore, pieno di carità, che viene a guarirci e a meritarci la grazia di una vita umile, povera e mortificata. E, per stimolarci più efficacemente alla pratica di queste virtù, desidera darcene Egli stesso l’esempio.
E’ ciò che constatiamo in maniera mirabile nella Natività. Per mezzo delle sue umiliazioni e della sua obbedienza, prepara un rimedio al nostro orgoglio; per mezzo della sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo; per mezzo del suo stato di sofferenza e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi, e, in tal modo, ci ridona una vita spirituale e ci apre la porta del cielo. Grazia preziosa, fratelli miei, ma poco conosciuta dalla maggior parte dei cristiani. Questo Messia, fratelli miei, questo tenero Salvatore viene al mondo per salvarlo: ciononostante, ci dice il Vangelo, nessuno lo vuole ricevere; è costretto a nascere in una stalla, sopra un pugno di paglia.
No, fratelli miei, non possiamo impedirci di biasimare la condotta dei Giudei verso questo divino Gesù. Ma, ahimè, la condotta che noi stessi teniamo verso di Lui è ancora molto più crudele, perché i Giudei non lo riconoscevano come Messia, mentre noi lo riconosciamo, in tutta verità, come nostro Dio! Comincerò, dunque, a mostrarvi, anzitutto, i grandi benefici che questa nascita ci procura, poi, che Gesù è il nostro modello in tutto ciò che dobbiamo fare. Per comprendere, fratelli miei, la grandezza dei beni che la nascita del nostro Signore Gesù Cristo ci ha procurato, bisognerebbe poter comprendere lo stato infelice nel quale il peccato di Adamo ci aveva precipitato, cosa che non potremo fare mai pienamente.
Dirò dunque che la prima piaga del nostro cuore è l’orgoglio, questa passione, fratelli miei, così dannosa, che consiste in uno sfondo di amore e di stima per noi stessi che fa sì che non accettiamo di dipendere da nessuno, che non temiamo nulla quanto essere umiliati agli occhi degli uomini, e che cerchiamo tutto ciò che ci possa mettere in risalto nel loro spirito. Ecco, fratelli miei, la funesta passione che Gesù Cristo viene a combattere con la sua nascita nella più profonda umiltà. Non soltanto Egli vuole dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma Egli vuole anche obbedire agli uomini e dipendere, in un certo senso, dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, sia per vanità, sia per interesse, sia per capriccio, ordinò che si facesse il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ogni famiglia in particolare, si facesse registrare nel luogo da dove traeva la sua origine.
Ma l’obbedienza di Gesù fu così grande che, appena fu pubblicato l’editto, la santa Vergine e san Giuseppe si misero in cammino. Quale lezione, fratelli miei! Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse! Ahimè! quanto ne siamo lontani! Quali vani pretesti non cerchiamo, pur di dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio, o a coloro che tengono il suo posto nei nostri confronti! Quale vergogna per noi, o piuttosto, quale orgoglio, non volere mai obbedire ma sempre comandare, credere di avere sempre ragione e mai torto! Ma andiamo avanti, fratelli miei, e vedremo qualcosa di più. Dopo un viaggio di oltre quaranta leghe (una lega francese = circa 4 km, n.d.a) Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme. Ora ditemi, allorché questa città ricevette il suo Dio, il suo Salvatore, doveva forse mettere dei limiti agli onori che avrebbe dovuto rendergli? Non bisognava dire in questa occasione, come nel suo ingresso a Betlemme: «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, Gli sia resa gloria nel più alto dei cieli?». E invece no, questo tenero Salvatore non veniva che per soffrire; ha voluto iniziare fin dalla nascita.
Tutti lo rifiutano, nessuno vuole ospitarlo. Ecco, dunque, a che punto è ridotto il Padrone dell’universo, il Re del cielo e della terra, disprezzato, rigettato dagli uomini, ridotto a chiedere in prestito un alloggio agli animali. O mio Dio, quale umiliazione! quale annientamento! No, fratelli miei, a niente siamo così sensibili come agli affronti, ai disprezzi e ai rifiuti; ma se vogliamo considerare quelli che il Salvatore riceve nascendo, avremo forse il coraggio di lamentarci, vedendo il Figlio di Dio ridotto a una tale umiliazione? Impariamo, fratelli miei, a soffrire tutto quello che ci potrà succedere, con pazienza e in spirito di penitenza. Quale felicità, per un cristiano, poter imitare in qualche cosa il suo Dio e il suo Salvatore! Andiamo più avanti e vedremo come Gesù Cristo, ben lontano dal voler cercare ciò che poteva metterlo in risalto agli occhi degli uomini, vuole nascere, al contrario, nell’oscurità, nell’oblio. Vuole soltanto che dei poveri pastori siano informati della sua nascita da un angelo che viene ad annunciare loro questa gioiosa notizia. Ditemi, fratelli miei, dopo un tale esempio, chi di noi potrebbe ancora conservare un cuore gonfio di orgoglio e pieno di vanità, e desiderare la stima, le lodi, e la considerazione del mondo?
Guardate, fratelli miei, e contemplate questo tenero bambino: guardatelo mentre versa già lacrime d’amore, mentre piange i nostri peccati, i nostri mali. Ah! Fratelli miei, quale esempio di povertà, di umiltà, di distacco, dai beni della vita! Lavoriamo, fratelli miei, per divenire umili, disprezzabili ai nostri occhi, come dice sant’Agostino. Se un Dio ha tanto disprezzato tutte le cose create, come potremmo noi amarle? Se fosse stato permesso amarle, Colui che si è fatto uomo per noi ce lo avrebbe certamente dichiarato.
Ecco, fratelli miei, il rimedio che il nostro divino Salvatore applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo un’altra che non è meno dannosa: l’avarizia. Questa seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, l’avarizia, consiste nell’amore sregolato delle ricchezze e dei beni di questa vita. Ahimè! Quanti danni provoca nel mondo questa passione! San Paolo, che ne sapeva molto più di noi, dice che essa è la sorgente di ogni genere di vizi. Non è, infatti, da questo maledetto interesse personale, che provengono le ingiustizie, le invidie, l’odio, gli spergiuri, i processi, le liti, le animosità e la durezza verso i poveri? Di conseguenza, fratelli miei, possiamo stupirci che Gesù Cristo, che viene sulla terra per guarire le passioni degli uomini, nasca nella più grande povertà, nella privazione di tutte quelle comodità che sembrano tanto necessarie all’uomo? Dapprima vediamo che sceglie una madre povera; poi vuole passare per “il figlio di un povero artigiano”. Siccome i profeti avevano annunciato che sarebbe nato dalla famiglia reale di Davide, affinché potesse conciliare questa nobile origine con il suo amore per la povertà, egli permette che, al momento della sua nascita, questa illustre famiglia fosse caduta nell’indigenza.
Ma non si ferma qui. Maria e Giuseppe, benché poveri, possedevano a Nazaret una casa di loro proprietà; ma questo era troppo per lui; non vuole nascere in un luogo che gli appartiene, e per questo obbliga la sua santa Madre a compiere il viaggio a Betlemme, nel tempo in cui doveva metterlo al mondo. Tuttavia, a Betlemme, che era la patria di Davide, suo antenato, noi penseremmo che avrebbe trovato qualche ricovero, soprattutto presso i suoi parenti. Invece no, nessuno vuole riconoscerlo, nessuno vuole prestargli un alloggio; per lui non c’è niente. Ora ditemi, dove andrà questo divino Salvatore per mettersi al riparo dalle intemperie, dal momento che tutti i posti sono occupati? Maria e Giuseppe si presentano in molti alberghi; ma no, sono poveri, e per loro non c’è posto! Oh! amabile Salvatore, in quale stato di turbamento e di abbandono ti vedo ridotto! Giuseppe e Maria si affrettano a cercare da ogni parte. Infine, scorgono una stalla dove gli animali si ritirano quand’è cattivo tempo.
Siamo d’inverno, è tutto aperto, è come essere per strada. Ma come mai! fratelli miei, una stalla come casa per un Dio! Ma sì, fratelli miei, è lì che Dio vuole nascere. Dipendeva solo da Lui, nascere in un magnifico palazzo; ma no, il suo amore per la povertà non sarebbe soddisfatto; una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia formerà tutto il suo letto, delle misere fasce saranno tutto il suo ornamento e dei poveri pastori saranno la sua corte. Ditemi, fratelli miei, poteva darci una lezione più bella sul disprezzo che dobbiamo avere verso i beni e le ricchezze di questo mondo? Poteva farci comprendere meglio l’amore che dobbiamo avere per la povertà e il disprezzo? Venite, fratelli miei, voi che siete tanto attaccati alle cose della terra, ascoltate la lezione che questo divino Salvatore vi dà, e se non lo sentite ancora parlare, ci dice san Bernardo, ascoltate questa stalla, ascoltate la sua mangiatoia e le fasce che lo avvolgono!
Che ci dicono queste cose? Proprio quello che Gesù Cristo un giorno vi dirà Lui stesso: «Guai a voi, ricchi del mondo!». Ah! Quanto è difficile che coloro i quali attaccano il loro cuore ai beni di questo mondo, possano salvarsi! Ma voi mi direte, perché è così difficile salvarsi, per coloro che sono ricchi di cuore? Perché, fratelli miei, le persone ricche, se non hanno il cuore distaccato dai loro beni, si riempiono di orgoglio, disprezzano i poveri, si attaccano alla vita presente, sono vuoti di Amore di Dio: per meglio dire, le ricchezze sono lo strumento di tutte le passioni. Ah! Guai ai ricchi perché per loro è tanto difficile salvarsi! Preghiamo quindi, fratelli miei, questo bambino coricato su un pugno di paglia, privo di tutto ciò che è necessario, perfino alla vita dell’uomo. Guardiamoci bene, fratelli miei, di non attaccare mai i nostri cuori a cose così vili e spregevoli, perché, se non avremo la fortuna di saperne usare bene, esse saranno la perdita della nostra povera anima. Che il nostro cuore sia povero, per poter partecipare alla nascita di questo Salvatore. Vedete bene che Egli chiama solo i poveri, mentre i ricchi vengono solo molto tempo dopo, per insegnarci che le ricchezze ci allontanano da Dio, senza che ce ne accorgiamo. Dobbiamo convenire che, questo stato del Salvatore deve essere molto consolante per i poveri, poiché hanno un Dio come loro Padre, come modello e come amico.
Ma i poveri, se vogliono ricevere la ricompensa promessa ai poveri, che è il Regno dei Cieli, devono imitare il loro Salvatore, devono continuare a sopportare la loro povertà in spirito di penitenza, non mormorare, non avere invidia verso i ricchi, ma, al contrario, compiangerli, perché essi sono in grande pericolo per la loro salvezza. Non devono malignare contro di loro, ma seguire l’esempio di Gesù Cristo che si è ridotto all’estrema miseria, di buon grado. Egli non si lamenta, ma, al contrario, versa lacrime sulla sventura dei ricchi; in questo modo, fratelli miei, ha guarito le due piaghe che il peccato ci ha prodotto. Ma si spinge ancora oltre, Egli vuole guarire anche la terza piaga che il peccato ci ha prodotto, cioè la sensualità. La sensualità consiste nell’amore sregolato dei piaceri che noi gustiamo per mezzo dei sensi. È da questa funesta passione che nasce l’eccesso nel bere e nel mangiare, l’amore dei propri agi, delle comodità, della mollezza di vita e la impurità; in una parola, tutto ciò che la Legge di Dio ci ha proibito. Cosa fa il nostro Salvatore, per guarirci da questa pericolosa malattia e da questo vizio? Nasce, fratelli miei, nelle sofferenze, nelle lacrime e nelle mortificazioni; nasce durante la notte, nella stagione più rigida dell’anno; appena nato viene adagiato su un pugno di paglia e in una povera stalla tutta aperta. Ah! uomo sensuale, avido, impudico, entra in questo rifugio di miseria e vedrai cosa fa un Dio per guarirti! Credete voi, fratelli miei, che quello è il vostro Dio, il vostro Salvatore, il vostro tenero Redentore? Sì, mi direte voi.
Ma se voi lo credete, dovete imitarlo. Ahimè! Quanto la nostra vita è lontana dalla sua! Ahimè! Lo vedete, fratelli miei, Egli soffre ma voi non volete soffrire nulla; Egli si sacrifica per la vostra salvezza, mentre voi non volete fare nulla per guadagnarla. Ahimè! Come vi comportate nel suo servizio? Tutto vi rincresce, tutto vi scomoda; a mala pena vi si vede celebrare le vostre Pasque; le vostre preghiere o non le fate o le fate male; vi si vede appena assistere alle celebrazioni sacre; e oltre tutto, come vi comportate durante il loro svolgimento? Ah! le lacrime, le sofferenze di questo divin Bambino sono per voi come terribili minacce! Poveri voi! Ah! Guai a voi che ora ridete, perché verrà un giorno che verserete lacrime; e queste lacrime saranno tanto più cocenti, perché non si esauriranno mai! «Il Regno dei cieli, ci dice, soffre violenza»; esso appartiene a coloro che la esercitano continuamente sopra se stessi. «Felici, ci dice questo tenero Salvatore, felici coloro che piangono in questo mondo, perché un giorno saranno consolati!». Quanto è felice colui che prende Gesù Cristo come modello, dalla culla fino alla croce!
Egli ha motivo per non perdersi di coraggio! Ha un modello da imitare! Quali armi potenti, possiede, per respingere il demonio! Per meglio dire, la vita che si nutre dell’imitazione di Gesù Cristo, è una vita da santi. La seguente storia ce ne fornisce un bell’esempio: vi troviamo una vedova che possedeva pochi beni, ma che era virtuosa, e piena di zelo per la salvezza dei suoi figli. Ella aveva una figlia di dieci anni, di nome Dorotea. Questa piccola figlia era vivace, portata alla dissipazione; la madre temeva che questa figlia si perdesse, stando insieme alle sue piccole compagne; perciò, la affidò a una maestra molto virtuosa, perché la formasse alla virtù. Ella fece mirabili progressi nella pietà e conservò nel cuore tutti i buoni consigli che la buona maestra le aveva dato, ma, soprattutto, quello di prendere Gesù Cristo come modello di ogni sua azione. Quando fu riportata dalla madre, ella fu di esempio e di consolazione per tutta la famiglia. Non si lamentava mai di nulla, era paziente, dolce, obbediente, sempre contenta in tutto quello che faceva, e in tutte le croci che le capitavano, casta, nemica di ogni vanità, rispettosa verso tutti, senza mai parlare male di nessuno, desiderosa di servire, continuamente unita a Dio. Una tale condotta la rese subito oggetto di stima in tutta la parrocchia.
Ma, come succede ordinariamente, i falsi saggi, che sono ciechi e orgogliosi, ne furono infastiditi, perché essi, anche senza rendersene conto, aspirano ad essere virtuosi e saggi, solo per venire stimati dagli altri. Perciò non possono accettare la concorrenza di altri, per paura di essere ignorati e passare in secondo piano. È proprio quello che successe a questa giovane.
Alcune compagne, invidiose, si adoperarono per nuocere alla sua reputazione, trattandola da ipocrita e da falsa devota. Ma Dorotea accettava tutto questo senza lamentarsi; lo sopportava per amore di Gesù Cristo, e non cessava di trattare con benevolenza coloro che la calunniavano. Più tardi la sua innocenza fu riconosciuta e la stima verso di lei aumentò. Il parroco di quella parrocchia, ammirando in lei i meravigliosi effetti della Grazia ed i frutti che questa giovane produceva tra coloro che la frequentavano, un giorno le chiese: «Dorotea, ti prego di rivelarmi, in confidenza, come mai vivi in questo modo e perché ti comporti così con le tue compagne». Il parroco di quella parrocchia, ammirando in lei i meravigliosi effetti della Grazia ed i frutti che questa giovane produceva tra coloro che la frequentavano, un giorno le chiese: «Dorotea, ti prego di rivelarmi, in confidenza, come mai vivi in questo modo e perché ti comporti così con le tue compagne».
«Signore, quella rispose, mi sembra di fare ben poca cosa, rispetto a ciò che dovrei fare. Mi sono sempre ricordata di un avvertimento che la mia maestra mi ha dato, allorché avevo solo dodici anni: ella mi ripeteva spesso di propormi sempre Gesù Cristo come modello in tutte le mie azioni e in tutte le mie pene. È quello che mi sono impegnata a fare. Ed ecco come faccio: appena mi sveglio e mi alzo, mi rappresento il bambino Gesù che, al suo risveglio, si offriva in sacrificio a Dio, Suo Padre. Per imitarlo, mi offro in sacrificio a Dio, consacrandogli la mia giornata, ogni mio lavoro e ogni mio pensiero. Quando prego, mi rappresento Gesù, mentre prega Suo Padre nel giardino degli ulivi, con la faccia a terra, e, nel mio cuore, mi unisco alle Sue divine disposizioni interiori. Quando lavoro, penso che Gesù Cristo, tanto stanco, lavora per la mia salvezza, e, senza lamentarmi, ma con amore e con rassegnazione, unisco i miei travagli ai Suoi.
Quando mi si comanda qualcosa, mi rappresento Gesù Cristo che era sottomesso, obbediente alla santa Vergine e a san Giuseppe, e, in quell’istante, unisco la mia obbedienza alla Sua. Se mi comandano qualcosa di molto duro e penoso, allora penso subito, che Gesù Cristo si è sottoposto alla morte di Croce, per salvarci; poi accetto di buon animo tutto quello che mi si comanda, per quanto possa essere difficile. Se si parla male di me, se mi dicono cose dure e ingiuriose, non rispondo nulla, ma soffro con pazienza, ricordandomi che Gesù Cristo ha sofferto in silenzio e senza lamentarsi per le umiliazioni, le calunnie, i tormenti e gli affronti più crudeli. Allora penso che Gesù Cristo era innocente, e non meritava ciò che Gli si faceva soffrire, mentre io sono una peccatrice e merito molto più di quello che mi si possa far soffrire. Quando consumo i miei pasti, mi rappresento Gesù mentre prende i suoi con modestia e frugalità, per poter lavorare, dopo, per la gloria del Padre. Se mangio qualche cosa di disgustoso, penso subito al fiele che Gesù Cristo ha gustato sulla Croce, e gli faccio il sacrificio della mia sensibilità. Quando ho fame, e non ho di che saziarmi, non perdo la mia contentezza, ricordandomi che Gesù Cristo ha trascorso quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare, e che ha sofferto una fame crudele per amor mio e per espiare le intemperanze degli uomini.
Quando mi prendo una pausa di ricreazione, e, magari, sto discutendo con qualcuno, mi rappresento Gesù Cristo, che era dolce e affabile con tutti. Se sto ascoltando discorsi cattivi, o vedo commettere qualche peccato, ne domando subito perdono a Dio, rappresentandomi Gesù che aveva il cuore trafitto dal dolore, quando vedeva offendere il Padre Suo. Quando penso ai peccati senza numero che si commettono nel mondo, e come Dio è oltraggiato sulla terra, gemo sospirando, e mi unisco alle disposizioni di Gesù Cristo, che diceva a Suo Padre, parlando dell’uomo: «Ah! Padre mio, il mondo non ti conosce. Quando vado a confessarmi, mi rappresento Gesù che piange i miei peccati nel giardino degli ulivi e sulla Croce. Se assisto alla santa Messa, unisco subito il mio spirito e il mio cuore alle sante intenzioni di Gesù, che si sacrifica sull’altare, per la gloria del Padre Suo, per l’espiazione dei peccati degli uomini, e per la salvezza di tutti. Quando odo cantare qualche cantico e sento cantare le lodi di Dio, gioisco in Dio e mi rappresento il glorioso cantico e la felice serata che Gesù Cristo trascorse con gli apostoli, dopo l’istituzione dell’adorabile Sacramento.
Quando vado a riposare, mi rappresento Gesù Cristo, che prendeva riposo solo per ritrovare nuove forze per la gloria del Padre Suo, oppure mi rappresento come il mio letto sia molto diverso dalla Croce sulla quale Gesù Cristo si coricò come un agnello, offrendo a Dio la sua vita e il suo spirito. Poi mi addormento, recitando le parole di Gesù Cristo sulla Croce: «Padre, nelle Tue mani affido il mio spirito». Il parroco, non potendo trattenersi dall’ammirare tanta luminosa sapienza, in una giovane di campagna, le dice: «O Dorotea, beata te! Quanta consolazione hai nel tuo stato!».
È vero che ho qualche consolazione nel servizio di Dio, risponde la fanciulla, ma vi confesso che ho anche tante battaglie da sostenere; devo farmi grande violenza per sopportare gli scherni di quelli che si prendono gioco di me, e per superare le mie passioni che sono molto vive. Se il buon Dio mi fa alcune grazie, permette anche che io abbia molte tentazioni. A volte sono nella tristezza, altre volte il disgusto per la preghiera mi assale». «E cosa fai, le chiede il parroco, per superare le tue ripugnanze e le tue tentazioni?». «Quando mi trovo nelle torture dello spirito, gli risponde quella, mi rappresento il Salvatore nel giardino degli ulivi, abbattuto, torturato e afflitto, fino alla morte; oppure me lo rappresento abbandonato e senza consolazione sulla Croce, e, unendomi a Lui ripeto subito le parole che Egli pronunciò nel giardino degli ulivi: “Mio Dio, si faccia la tua Volontà. Quanto alle mie tentazioni, allorché sento qualche attrazione per frequentare le cattive compagnie, per andare ai veglioni, alle danze e ai divertimenti dannosi, oppure quando mi assale qualche violenta tentazione di acconsentire a qualche peccato, mi rappresento Gesù Cristo che mi dice queste parole: “Che succede, figlia mia? Vuoi forse abbandonarmi, per dedicarti al mondo e ai suoi piaceri? Vuoi riprenderti il tuo cuore, per darlo alle vanità e al demonio? Non sono già abbastanza le persone che mi offendono? Vuoi passare dalla loro parte e abbandonare il mio servizio?”.
Subito Gli rispondo dal più profondo del cuore: No, mio Dio, io non ti abbandonerò mai; Ti sarò fedele fino alla morte! Dove andrò, Signore, se ti abbandono? Tu solo hai Parole di Vita eterna. In quel momento, queste parole mi riempiono di forza e di coraggio». «Ma nelle conversazioni con le tue compagne, di cosa parlate?», le chiede il parroco. «Parlo con loro delle medesime cose delle quali mi sono permessa di parlare con lei; dico loro di proporsi Gesù Cristo come modello, in tutte le loro azioni, di ricordarsi nelle loro preghiere, nel prendere i pasti, durante il lavoro, nelle conversazioni, nelle pene della vita, di come Gesù Cristo si comporterebbe Egli stesso in tali occasioni, e di unirsi sempre alle sue divine intenzioni. Dico loro che io mi servo di questa santa pratica, e che mi trovo bene, che non vi è niente di più grande e di più nobile, che voler seguire e imitare Gesù Cristo, e che non vi è nulla di più dolce, che servire un Maestro tanto buono». Oh! Fratelli miei, felice l’anima che ha preso Gesù Cristo come sua guida, come suo modello e come amico! Quante grazie e quante consolazioni, che non è mai possibile trovare se si serve il mondo! Queste sono le consolazioni che voi avreste, se voleste adoperarvi per allevare bene i vostri figli, e ispirare loro, non già la vanità e l’amore per i piaceri del mondo, ma la decisione di prendere Gesù Cristo per modello, in tutto quello che fanno.
Oh! Felici questi ragazzi! Oh! Questi cari figli di Dio! Si, fratelli miei, Gesù Cristo non è venuto soltanto per riscattarci, ma anche per servirci di esempio. Egli ci dice: «Sono venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto», e, in un altro punto ci dice: «Vi ho dato l’esempio, perché facciate anche voi ciò che vedete che io ho fatto». Quando san Giovanni battezzava Gesù Cristo nel Giordano, udì il Padre Eterno che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo». Egli vuole che noi ascoltiamo le sue parole ed imitiamo le sue virtù. Egli le ha praticate per mostrarci ciò che dobbiamo fare. Poichè i cristiani sono figli di Dio, esse devono camminare sulle tracce del loro Maestro che è Gesù Cristo stesso. Sant’Agostino ci dice che un cristiano che non voglia imitare Gesù Cristo, non merita di portare il nome di cristiano. Lo stesso ci dice in un altro punto: “L’uomo è stato creato per imitare Gesù Cristo, il quale si è fatto uomo per rendersi visibile, in modo che lo possiamo imitare”. Nel giorno del giudizio, saremo esaminati per vedere se la nostra vita è stata conforme a quella di Gesù Cristo, dalla sua nascita fino alla sua morte. Tutti i santi che sono entrati in Cielo, vi sono entrati solo perché hanno imitato Gesù Cristo. In primo luogo, un buon cristiano deve imitare la sua carità, che è una virtù che ci porta ad amare Dio con tutto il nostro cuore, e il prossimo come noi stessi. Gesù Cristo ama suo Padre dall’istante del concepimento fino alla morte, poiché dice: «Io faccio sempre ciò che piace al Padre mio». E non si accontenta soltanto di dirlo, ma ha dato la sua vita per riparare agli oltraggi che il peccato Gli aveva arrecato.
Ama il suo prossimo, non solo come se stesso, ma più di se stesso, poiché ha donato il suo sangue e la sua vita per tirarci fuori dall’inferno. Sull’esempio di Gesù Cristo, noi dobbiamo amare il buon Dio con tutto il nostro cuore, preferirlo a ogni altra cosa, non amare nulla, se non in rapporto a Lui. Dobbiamo amare il nostro prossimo come noi stessi, augurandogli tutto quello che vorremmo fosse augurato a noi stessi, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere, per aiutarlo a salvare la sua povera anima. In secondo luogo, dobbiamo amare la sua povertà e il suo distacco da tutte le cose della vita. Vedete, fratelli miei, che Egli è nato povero, è vissuto povero ed è morto povero, permettendo perfino, prima di morire, che gli si sottraessero tutti i vestiti. Durante la vita non ha posseduto nulla come sua particolare proprietà. Ah! bell’esempio di disprezzo delle cose della terra! In terzo luogo, dobbiamo imitare la sua (di Gesù Cristo) dolcezza. Egli ci dice: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore».
San Bernardo dice che Egli ha la dolcezza inserita nel suo stesso Nome: Gesù. Quella volta che gli apostoli volevano far discendere un fuoco dal cielo su una città della Samaria, che non aveva voluto ricevere il Salvatore, gli chiesero: «Vuoi che diciamo che un fuoco discenda dal cielo su questa città?», Nostro Signore rispose loro: «Non sapete ciò che chiedete: il Figlio dell’uomo non è venuto sulla terra per perdere le anime, ma per salvarle». Imitiamo la sua dolcezza verso Dio, accettando con dolcezza tutto quello che Egli vorrà mandarci: pene, amarezze o altri mali. Siamo buoni verso il nostro prossimo, non lasciamoci andare alla collera contro di lui, ma trattiamolo con bontà e con carità. Siamo dolci anche nei confronti di noi stessi, vegliamo per non agire mai per capriccio o per collera. Se cadiamo in qualche colpa, non dobbiamo arrabbiarci con noi stessi, ma umiliarci profondamente davanti a Dio, e, senza troppo tormentarci, continuare le nostre pratiche religiose. «Beati, ci dice Gesù Cristo, coloro che hanno il cuore dolce, perché possiederanno la terra, cioè il cuore degli uomini!». In quarto luogo, dobbiamo imitare la sua umiltà. Ce lo dice Lui stesso: “Imparate da me, che sono umile di cuore».
La sua umiltà è stata così grande che, benché fosse il Re del mondo, ha voluto passare per l’ultimo degli uomini. Guardate in quale grado pratica l’umiltà, nascendo in una stalla, abbandonato da tutti. Ha voluto essere circonciso, cioè passare per un peccatore, Lui che era la santità in persona, incapace di commettere mai un peccato; ha sopportato che lo si considerasse uno stregone, un mago, un seduttore; ha sempre nascosto quello che poteva procurargli stima agli occhi degli uomini. Ha voluto lavare i piedi agli apostoli, perfino a Giuda il traditore, pur sapendo benissimo che lo avrebbe tradito; infine, ha voluto essere venduto come un vile schiavo, trascinato con la corda al collo per le strade di Gerusalemme, come se fosse stato il più criminale del mondo. Impegnatevi, fratelli miei, a imitare la sua grande umiltà, nascondendo il bene che fate, soffrendo con pazienza le ingiurie e il disprezzo, e tutte le persecuzioni che si vorranno fare contro di voi, sull’esempio di Gesù Cristo.
Dobbiamo, inoltre, imitare la sua pazienza. Quanto è stato paziente, accettando di restare chiuso per nove mesi nel seno di sua Madre, Lui che i cieli e la terra non potevano contenere! Quanta pazienza ha avuto, per intrattenersi con gli uomini, la maggior parte dei quali erano induriti e carichi di crimini! Quanta pazienza, durante tutta la sua passione! Lo prendono, lo legano, lo ricoprono di pietre, lo flagellano, lo attaccano alla Croce, lo fanno morire, senza che Egli abbia detto una parola per lamentarsi. Imitiamo, fratelli miei, questa pazienza, quando ci disprezzano e ci perseguitano ingiustamente. Imitiamo anche la sua preghiera: ha pregato versando lacrime di sangue. Ah! Fratelli miei, quale felicità, per noi, la nascita di questo divino Salvatore! Dobbiamo solo camminare sulle sue tracce; non dobbiamo fare niente di più di quello che ha fatto Lui stesso. Quale gloria per i cristiani avere in Gesù Cristo un modello di tutte le virtù, che dobbiamo praticare per piacergli e per salvare le nostre anime. Padri e madri, formate i vostri figli su questo bel modello; proponetegli spesso, come esempio, le virtù di Gesù Cristo. Felice notizia, quella che l’angelo annunzia a noi, nella persona dei pastori, perché in questa notizia è compreso tutto: il cielo, la salvezza della nostra anima e il nostro Dio…
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