Ora che comincia l'anno, meditazione di San Josemaría
Autore: Luis Cano e Francesc Castells
Ora che comincia l’anno (dicembre 1970)
Tra pochissimo iniziamo un nuovo anno, figlie e figli miei, e vorrei farvi alcune considerazioni che vi aiutino a percorrerlo con garbo. Voglio trasmettervi un po’ della mia esperienza, ma preferisco farlo con parole di san Paolo.
Vi hanno già detto e l’avete letto, perché è risaputo, che le cose in cui credo non sono molte. Credo quanto è giusto e ci credo con tutta l’anima. Tra le cose in cui credo, credo nella vostra lealtà. Non faccio che ripetere ciò che fin dall’inizio facevo considerare ai ragazzi di san Raffaele: se qualcuno di voi mi dice qualcosa, anche se cento notai mi assicurano unanimi il contrario, non credo ai notai, credo a voi. Perché so che siete fragili, come me, ma che però siete leali. È logico che vi parli sempre con altrettanta lealtà.
Sapete che il Padre vi apre il cuore con sincerità. Non credo a quel proverbio che dice: anno nuovo, vita nuova. In ventiquattr’ore non si cambia nulla. Soltanto il Signore, con la sua grazia, può trasformare in un attimo Saulo da persecutore dei cristiani in Apostolo. Lo disarciona, lo lascia cieco, lo umilia, lo fa andare da un uomo, Anania[1], perché questi gli dica che cosa deve fare. E Saulo era uno dei grandi di Israele, educato alla cattedra di Gamaliele e in più cittadino romano[2]. Vi ricordate? «Civis romanus sum!». Mi piace. Mi piace che anche voi vi sentiate cittadini del vostro Paese; con tutti i diritti, perché adempite a tutti i doveri.
Credete che, a meno di un grande miracolo, un uomo pigro, che si muove di malavoglia, senza agilità, che non fa ginnastica, possa vincere una gara sportiva internazionale? San Paolo si serve di questo paragone, e io pure. Soltanto se si lotta ripetutamente, a volte con successo e altre no, in cose piccole, che di per sé non sono peccato, che non hanno una valutazione morale grave ma sono debolezze umane, mancanze di amore, mancanze di generosità; soltanto una persona che fa ogni giorno ginnastica potrà dire davvero che, alla fine, avrà una vita nuova. Soltanto chi fa una ginnastica spirituale ci riuscirà.
Guardate che cosa dice san Paolo: «Nolite conformari huic sæculo, sed reformamini in novitate sensus vestri, ut probetis quæ sit voluntas Dei bona et beneplacens et perfecta»[3]. Lasciatevi trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto, e mettetelo in pratica.
Non succede forse così nell’esercizio ginnico continuo, nello sport? Tre centimetri in più, un decimo di secondo in meno. Ma, all’improvviso, un incidente: uno salta e si sloga una caviglia: che disastro! Forse, perché si è trascurato, si è appesantito e ha perso la forma. Figli miei, se quella creatura, se quell’anima, continua a lottare, quell’incidente non ha alcuna importanza. È, tutt’al più, una mancanza piccola piccola; perché sta facendo la sua ginnastica per ottenere un risultato migliore, applicandosi con sforzo a cose che sono migliori, di maggior valore: cose che, se non si fanno, non offendono Dio, perché non sono peccato. Così, a poco a poco, senza quasi rendervene conto, perché non compaia la superbia, vi trasformerete, ci trasformeremo, dando un nuovo senso alla vita: in novitate sensus. E avremo una vita nuova.
Ognuno di voi lo consideri nell’orazione personale. Ciascuno ne ricaverà una luce particolare: alcuni, molte luci; altri, soltanto qualche scintilla; qualcuno si addormenterà e non ne ricaverà nulla ma, quando si sveglierà, si accorgerà di avere luce anche lui. Vale la pena, figli miei, considerare attentamente queste parole dell’Apostolo.
Se, quando ti tocca saltare, salti come una gallina, ti scandalizzerai? Guarda che cosa dice san Pietro: «Carissimi, nolite peregrinari in fervore, qui ad tentationem vobis fit, quasi novi aliquid vobis contingat»[4]. Non vi meravigliate di non essere in grado di saltare, di non poter vincere: a noi si addice la sconfitta! La vittoria è cosa della grazia di Dio. E non dimenticate che una cosa è pensare e un’altra, molto diversa, acconsentire. Questo evita molti scombussolamenti inutili.
Inoltre, ci risparmiamo molte stupidaggini dormendo bene, le ore giuste; mangiando quanto è necessario, facendo lo sport che riuscite a fare alla vostra età e riposando. Vorrei, però, che in ogni piatto metteste la croce; il che non significa non mangiare: vuol dire mangiare un pochino di più di ciò che non vi piace, un pochino, fosse anche soltanto un cucchiaino da caffè, e un pochino di meno di quello che vi piace, rendendo sempre grazie a Dio.
Non deve sorprendervi perché voi e io – io come voi, per lo meno, o forse di più – abbiamo il fomes peccati, la tendenza naturale verso tutto ciò che è peccaminoso. Insisto nel dire che il peccato della carne non è il più grave. Ci sono altri peccati più gravi, anche se, ovviamente, la concupiscenza va sottomessa. Voi e io non dobbiamo stupirci nel riscontrare che, in tutte le cose – non solo nella sensualità, ma in tutto –, siamo per natura inclini al male. Certuni si stupiscono, si riempiono di superbia e si perdono.
Quando, molti anni fa, confessavo persone in chiesa, ero solito comportarmi come i confessori anziani. Dopo aver ascoltato carrettate di fango, domandavo: solo questo, figlio mio? Perché sono convinto che, se Dio non continua a tenermi per mano, uno qualsiasi di quei peccatori sembrerà un pigmeo nel male in confronto a me, che mi sento capace di tutti gli errori e di tutti gli orrori.
Non vi sorprendete di nulla. Evitate di spaventarvi parlando chiaro prima; altrimenti, dopo. Questo è un buon pensiero per cominciare l’anno.
Figlie e figli miei, fate le cose seriamente. Riprendete il cammino adesso. Mi piace molto la parola cammino perché siamo tutti in cammino rispetto a Dio; siamo viatores, stiamo andando verso il Creatore da quando siamo venuti al mondo. Una persona che intraprende un cammino ha chiaro un fine, un obiettivo: vuole andare da un posto a un altro e, di conseguenza, fa di tutto per giungere incolume a quel fine; con la sufficiente rapidità, cercando di non deviare per sentieri laterali, sconosciuti, con il rischio di trovare strapiombi e animali feroci. Camminiamo seriamente, figli miei! Dobbiamo mettere nelle cose di Dio e delle anime lo stesso impegno che gli altri mettono nelle cose della terra: un gran desiderio di essere santi.
Sappiamo che non ci sono santi in terra, ma che tutti possiamo avere desideri efficaci di esserlo; e tu, con tale desiderio, stai facendo un gran bene a tutta la Chiesa e in modo particolare a tutti i tuoi fratelli nell’Opera. Al tempo stesso, aiuta molto a essere leale il pensiero che danneggi grandemente gli altri, se abbandoni il cammino.
Dio vuole, da voi e da me, ciò che chiede a una persona normale. La nostra santità consiste in questo: fare bene le cose normali. Può succedere, qualche volta, che uno ottenga la medaglia d’oro al valor militare, ma capita raramente. E tenete presente – non si arrabbino con me i militari – che i soldati caduti non ricevono decorazioni: se le prende il loro capitano. Il sangue del soldato fa grande il capitano, dice un proverbio italiano. Voi siete quelli santi, fedeli, lavoratori, allegri, sportivi, e io quello che viene applaudito, sebbene anche gli odi ricadano su di me. Mi fate un gran bene, ma non dimenticatelo, figli miei: gli odi se li piglia il Padre.
Satana non è contento perché, con la grazia del Signore, vi ho mostrato un cammino, un modo per andare in Cielo. Vi ho dato un mezzo per raggiungere il fine, in modo contemplativo. Il Signore ci concede tale contemplazione, che normalmente notate appena. Dio non fa distinzioni di trattamento; offre i mezzi a tutti.
Magari il vostro confessore, o la persona che riceve la vostra Confidenza, si accorge di qualcosa che dovete correggere, e vi darà alcune indicazioni. Il cammino dell’Opera è però molto ampio. Lo si può percorrere tenendosi sulla destra o sulla sinistra; a cavallo, in bicicletta; ginocchioni, a quattro zampe come quando eravate bambini; e anche lungo la cunetta, purché non si esca dal cammino.
A ciascuno Dio dà, all’interno della vocazione generale all’Opus Dei, che consiste nel santificare nel bel mezzo della strada il lavoro professionale, il suo modo speciale per arrivare a destinazione. Non siamo ritagliati secondo lo stesso modello, come su una sagoma. Il nostro spirito è tanto ampio che ciò che è comune non va perduto a motivo della legittima diversità personale, del sano pluralismo. Nell’Opus Dei non mettiamo le anime in uno stampo e poi premiamo; non vogliamo ingessare nessuno. C’è un comune denominatore: voler arrivare, e basta.
Proseguiamo, però, con san Paolo. Voler giungere alla meta richiede un contenuto. Il libro della Sapienza dice che il cuore dello stolto è come un vaso frantumato[5], spaccato in più parti, tutto in pezzi. Al suo interno non può essere contenuta la Sapienza, perché si spande fuori. In questo modo, lo Spirito Santo ci dice che non possiamo essere un vaso rotto; non possiamo, come il vaso spaccato, avere una volontà orientata qua e là, in più direzioni, bensì una volontà rivolta a un unico fine: «Porro unum est necessarium!»[6]
Non vi preoccupate se la volontà è un vaso con punti metallici. Sono molto amico dei punti, perché ne ho bisogno. L’acqua non si sparge se ci sono punti. Quel vaso, rotto e ricomposto, mi sembra meraviglioso; è persino elegante, si vede che è servito a qualcosa. Figli miei, quei punti testimoniano che avete lottato, che avete motivi per umiliarvi. Tuttavia, se non vi rompete è ancora meglio.
Di certo, dovete avere buona volontà. Molti anni fa ho scritto che, quando un recipiente contiene vino buono e vi si versa buon vino, il vino resta buono. Lo stesso succede nei vostri cuori: dovete avere il buon vino delle nozze di Cana. Se invece nella vostra anima c’è aceto, anche se vi versano del buon vino, il vino delle nozze di Cana, tutto vi sembrerà ripugnante, perché dentro di voi il buon vino si trasformerà in aceto. Se reagite male, ditelo. Non è ragionevole che una persona che va dal medico per essere visitata con cura non gli racconti le sue difficoltà.
Quindi, le nostre attività, i nostri desideri e i nostri pensieri devono convergere su un unico fine: «Porro unum est necessarium!», ripeto. Eccovi un motivo per lottare sportivamente. Dobbiamo riportare tutto a Dio, ma come uomini, non come Angeli. Non siamo Angeli, e dunque non stupitevi dei vostri limiti. È meglio essere uomini che possono meritare e… soccombere spiritualmente, morire. In questo modo ci renderemo conto che tutte le cose grandi, che il Signore vuol fare attraverso la nostra miseria, sono opera sua. Come i discepoli, che tornarono sbalorditi dei miracoli che operavano nel nome di Gesù[7], ci renderemo conto che i frutti non sono nostri, perché le querce non fanno limoni. I frutti sono di Dio Padre, che è stato tanto padre e tanto generoso da metterli nella nostra anima.
Pertanto, non dobbiamo sorprenderci, «quasi novi aliquid vobis contingat», come se ci capitasse qualcosa di eccezionale, se sentiamo agitarsi le passioni – è logico che succeda, non siamo fatti di pietra – e neppure meravigliarci se il Signore, servendosi delle nostre mani, compie prodigi, il che è pure normale.
Pensate all’esempio di san Giovanni Battista, quando manda i suoi discepoli a chiedere al Signore chi Egli sia. Gesù risponde facendo loro notare tutti quei miracoli[8]. Ricorderete questo passo del Vangelo; da oltre quarant’anni l’ho suggerito alla meditazione dei miei figli. Questi miracoli il Signore continua a farli ora, servendosi delle vostre mani: persone che non vedevano e che ora vedono; persone incapaci di parlare, perché avevano il demonio muto, che se ne liberano e parlano; persone impossibilitate a muoversi, paralitici per ciò che andava al di là delle forze umane, che escono dall’immobilità e compiono opere di virtù e di apostolato. Altri che sembrano vivi e che sono invece morti, come Lazzaro: «Iam fœtet, quatriduanus est enim»[9]. Voi, con la grazia divina e con la testimonianza della vostra vita e della vostra dottrina, delle vostre parole prudenti e imprudenti, li portate a Dio e tornano in vita.
Neppure per questo vi potete meravigliare: perché siete Cristo, e Cristo compie queste cose per vostro mezzo, come le fece attraverso i primi discepoli. Va bene così, figlie e figli miei, perché ci si fonda sull’umiltà, ci toglie la possibilità di insuperbirci e ci aiuta ad avere buona dottrina. Conoscere le meraviglie che Dio opera mediante il vostro lavoro vi rende efficaci, risveglia la vostra lealtà e, pertanto, rafforza la vostra perseveranza.
Termineremo con un testo dell’Apostolo:«Æmulamini autem charismata meliora»[10]; aspirate ai doni migliori, sempre. Figli miei, voi e io vogliamo comportarci bene, come piace al Signore. Se a volte le cose ci riescono un po’ male, non importa: lottiamo, perché la santità sta nel lottare.
«Æmulamini charismata meliora»: desiderate cose migliori, più gradite a Dio. Non vi accontentate di ciò che siete dinnanzi a Dio; chiedetegli con umiltà, attraverso l’Onnipotenza supplice della Santissima Vergine, che il Figlio e il Padre ci inviino lo Spirito Santo, che da loro procede, e che questi con i suoi doni, in particolare con il dono della Sapienza, ci faccia discernere prontamente e sempre ciò che va e ciò che non va. Noi, in quanto viatores, vogliamo dedicarci a ciò che va ed evitare ciò che non va.
Custodite questi punti di meditazione nella mente e nel cuore; vi faranno molto bene. «Æmulamini charismata meliora!». Più rapporto con Dio! Più amore, più spirito di sacrificio! Le nostre madri non rimpiangono tutta l’abnegazione con cui si sono spese per noi; e noi non possiamo lamentarci di sperimentare un po’ della Croce del Signore: perché non è più un patibolo, ma un trono trionfale.
Invocate lo Spirito Santo, e che Dio vi benedica.
Josemaría Escrivá, In dialogo con il Signore a cura di Luis Cano e Francesc Castells è disponibile sul sito delle Edizioni Ares e nei principali store digitali e fisici.
[1] Cfr At 9,3 e ss.
[2] Cfr At 22, 25-28.
[3] Rm 12,2.
[4] 1 Pt 4,12.
[5] Cfr Sir 21,14
[6] Lc 10,42.
[7] Cfr Lc 10,7.
[8] Cfr Mt 11, 4-6.
[9] Gv 11,39.
[10] 1 Cor 12,31.
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