Storia di un'anima - Capitolo 5 - Parte 2
Adolescenza aperta
Autore: Santa Teresa di Lisieux
143 – Celina divenne dunque la confidente delle mie lotte e dei miei patimenti, e prese parte ad essi come se si fosse trattato della vocazione sua; da parte di lei non avevo da temere opposizione, ma non sapevo che strada prendere per dare l’annuncio a Papà. Come parlargli di lasciar la sua regina, a lui che aveva sacrificato le sue tre maggiori? Ah, i conflitti intimi che ho sofferto prima di sentirmi il coraggio di parlare! E tuttavia bisognava che mi decidessi; avevo quattordici anni e mezzo, sei mesi soltanto ci separavano dalla bella notte di Natale nella quale avevo deciso di entrare, nell’ora stessa in cui, l’anno precedente, avevo ricevuto la «mia grazia». Per fare la mia grande rivelazione scelsi il giorno di Pentecoste; per tutta la giornata supplicai i santi Apostoli di pregare per me, di ispirarmi le parole che dovevo dire… Toccava pure loro di aiutare la bambina timida che Dio destinava a divenire l’apostolo degli apostoli per mezzo della preghiera e del sacrificio! Soltanto nel pomeriggio, tornando dai vespri, trovai l’occasione per parlare al mio Babbo carissimo; era andato a sedersi sul bordo della vasca, e, con le mani giunte, contemplava le meraviglie della natura; il sole con la sua luce raddolcita dorava le cime dei grandi alberi ove gli uccelli cantavano gioiosi la loro preghiera della sera. il bel volto di Papà aveva una espressione celeste, sentivo che la pace gli inondava il cuore; senza dire una parola mi sedetti accanto a lui, gli occhi pieni di pianto; mi guardò con tenerezza, mi prese la testa e l’appoggiò sul suo cuore, dicendomi: «Che cos’hai, reginetta? Confidamelo». Poi, alzandosi come per nascondere la propria emozione, camminò lentamente tenendomi sempre la testa appoggiata sul suo cuore. Tra le lacrime gli confidai che desideravo entrare nel Carmelo; allora le lacrime sue si unirono alle mie, ma non disse una parola per distogliermi dalla mia vocazione; si contentò di farmi osservare che ero molto giovane per prendere una decisione tanto grave. Ma io difesi la mia causa tanto bene che Papà, con la sua natura semplice e dritta, fu convinto ben presto che il mio desiderio era di Dio stesso, e, nélla sua fede profonda, esclamò che Dio gli faceva un grande onore chiedendogli così le sue figlie. Continuamino a lungo la nostra passeggiata; il cuore mio, sollevato dalla bontà con la quale era stata accolta la sua rivelazione dal Padre mio incomparabile, si apriva dolcemente nel cuore di lui. Pareva che Papà godesse di quella gioia tranquilla che dà il sacrificio consumato, mi parlò come un santo, e vorrei ricordare le sue parole per scriverle qui, ma ho conservato di esse un ricordo troppo profuinato perché si possa tradurlo. Mi ricordo perfettamente l’azione simbolica che il mio Re compì senza saperlo. Si avvicinò ad un muricciolo, mi mostrò dei fiorellini bianchi che crescevano su di esso simili a gigli in miniatura, poi ne prese uno e me lo dette, spiegandomi con quanta cura il buon Dio l’aveva fatto nascere e l’aveva custodito fino a quel giorno; ascoltando, io credevo di udire la storia mia, tanta era la somiglianza tra quello che Gesù aveva fatto per il mughetto umile e per la piccola Thresa. Ricevetti quel fiore come una reliquia, e vidi che, cogliendolo, Papà aveva divelto tutte le radici esili senza spezzarle; quasi affinché vivesse ancora in un’altra terra più fertile del muschio tenero nel quale erano trascorsi i suoi primi giorni. Era proprio questo medesimo atto che Papà aveva fatto per me qualche istante prima, permettendomi di salire la montagna del Carmelo e lasciare la vallata dolce nella quale avevo mosso i primi passi. Posi il tenue calice bianco nella mia Imitazione, al capitolo intitolato: «Che bisogna amare Gesù al disopra di tutto», ed è ancora li, soltanto lo stelo si è spezzato proprio in un punto vicino alla radice, e il buon Dio sembra voglia dire con ciò che romperà presto i legami del suo fiorellino, e non lo lascerà appassire sulla terra
144 – Dopo avere ottenuto il consenso di Papà, credevo di potere entrare senza timore al Carmelo, ma delle vicende molto dolorose dovevano ancora mettere alla prova la mia vocazione. Tremando confidai allo zio la risoluzione presa. Mi rispose con tutta la possibile tenerezza, ma non mi dette il consenso alla partenza, anzi, mi proibì di riparlargli di vocazione prima di avere diciassette anni. Era contrario alla prudenza umana – diceva – fare entrare nel Carmelo una bambina di quindici anni; la vita di carmelitana essendo agli occhi del mondo una vita da filosofi, si farebbe gran torto alla religione permettendo ad una fanciulla priva di esperienza di abbracaarla. Tutti ne parlerebbero, ecc. ecc. Disse perfino che per decidere lui a farmi partire sarebbe stato necessario un miracolo. Vidi bene che tutti i ragionamenti erano inutili, perciò mi ritirai, col cuore immerso nell’amarezza più profonda. Unica mia consolazione: la preghiera. Supplicavo Gesù di fare il miracolo richiesto, poiché soltanto a quel prezzo avrei potuto rispondere al suo appello. Passò un tempo assai lungo prima che osassi parlare nuovamente allo zio; mi costava sommamente andare da lui; da parte sua pareva ch’egli non pensasse più alla mia vocazione, ma ho saputo più tardi che la mia grande tristezza gli fece una impressione profonda a mio favore. Prima di far splendere sull’anima mia un raggio di speranza, piacque al Signore di mandarmi un martirio molto doloroso che durò tre giorni, Oh, mai ho capito tanto bene come durante quella prova, il dolore della Vergine Santissima e di san Giuseppe alla ricerca di Gesù Bambino. Ero in un deserto triste, o piuttosto l’anima mia era simile allo scafo fragile privo di nocchiero, in balìa della tempesta. Lo so, Gesù era presente, assopito nella mia barchetta, ma la notte era così nera che non potevo vederlo; niente m’illuminava, nemmeno un lampo che solcasse le nuvole oscure. Certo, è ben triste il bagliore dei lampi, ma almeno, se il temporale fosse scoppiato apertamente, avrei potuto forse intravedere Gesù per un attimo… invece, la notte, profonda notte dell’anima… Come Gesù nel giardino dell’agonia mi sentivo sola, non trovavo consolazione né in terra, né dalla parte del Cielo, pareva che il buon Dio mi avesse abbandonata! E pareva anche che la natura prendesse parte alla mia tristezza amara; durante quei tre giorni il sole non ebbe un raggio, e la pioggia cadde a torrenti. (Ho notato che, in tutte le circostanze gravi della mia vita, la natura era l’immagine dell’anima mia. Nei giorni di pianto, il Cielo piangeva con me, nei giorni di gioia, il sole splendeva e l’azzurro era puro). Finalmente il quarto giorno, un sabato, giorno consacrato alla dolce Regina dei Cieli, andai a trovare lo zio. Come rimasi sorpresa vedendo che mi guardava e mi faceva entrare nel suo studio senza che io gli avessi detto nulla! Cominciò col farmi dolci rimproveri perché avevo paura di lui, e poi mi disse: «Non è necessario chiedere un miracolo, ho soltanto pregato il Signore che mi dia “un semplice orientamento del cuore” e sono stato esaudito». Ah! io non fui più tentata di implorare un miracolo perché, secondo me, il miracolo era già concesso, lo zio non era più lui. Senza più alcuna allusione alla «prudenza umana» mi disse: «Tu sei un fiorellino che Dio vuole cogliere, e io non mi oppongo più».
145 – Questa risposta definitiva era degna davvero di lui. Per la terza volta questo cristiano di altri tempi permetteva che una figlia adottiva del suo cuore andasse a seppellirsi lontana dal mondo. La zia fu mirabile anche lei per tenerezza e prudenza; non ricordo che, durante la mia prova, ella abbia detto una sola parola tale da aumentarmi la sofferenza, vedevo invece che aveva grande compassione della povera piccola Teresa, così, quand’ebbi ottenuto il consenso dello zio tanto caro, lei mi dette il suo, ma non senza mostrarmi in mille modi che la mia partenza l’avrebbe addolorata. Ahimè! i nostri cari parenti erano ben lungi da prevedere che avrebbero dovuto rinnovare per due volte ancora il medesimo sacrificio. Ma, tendendo la mano per chiedere sempre, il buon Dio non la presentò vuota: i suoi amici poterono attingere in abbondanza la forza e il coraggio necessari… Ma ecco il cuore che mi trascina lungi dal mio soggetto, ci ritorno quasi con rincrescimento: dopo la risposta dello zio, lei capisce, Madre, con quale allegrezza ripresi la via dei Buissonnets, sotto «il bel cielo, da cui le nubi si erano completamente dissipate!». Anche nell’anima mia la notte era finita. Gesù svegliandosi mi aveva ridato la gioia, il fragore delle ondate si era placato: invece del vento della prova, un soffio lieve gonfiava la mia vela e io credevo di arrivare ben presto alla riva benedetta che scorgevo tanto vicina. In realtà era vicina, ma più di un temporale doveva ancora sorgere e, offuscando la vista del faro, farmi temere di essermi allontanata, senza ritorno, dalla spiaggia ambita.
146 – Pochi giorni dopo avere ottenuto il consenso dello zio, venni a trovarla, Madre mia cara, e le dissi la mia gioia che tutte le prove fossero passate; ma quale sorpresa ebbi, e quale dolore, sapendo da lei che il Superiore non acconsentiva al mio ingresso prima dei miei ventun anni! Nessuno aveva pensato a questa opposizione, più invincibile delle altre; tuttavia, senza perdermi di coraggio, andai io stessa con Papà e Celina da Nostro Padre, per cercare di commuoverlo, dimostrandogli che avevo, sì, la vocazione al Carmelo! Ci ricevette molto freddamente; il mio Babbo ineguagliabile ebbe un bell’unire le sue istanze alle mie, niente poté mutare la sua disposizione. Mi disse che non c’erano pericoli nell’attesa, che potevo ben fare vita carmelitana nella mia casa, che se non avessi preso la disciplina niente si sarebbe perduto, ecc. ecc. e finì per aggiungere che egli era soltanto il delegato di Monsignore e che, se Monsignore stesso avesse voluto permettermi di entrare nel Carmelo, lui non avrebbe avuto più nulla da dire… Uscii tutta in lacrime dalla canonica, fortunatamente ero nascosta sotto l’ombrello, perché la pioggia cadeva a torrenti. Papà non sapeva come consolarmi… Mi promise di condurmi a Bayeux appena lo desiderassi perché ero risoluta a raggiungere il mio scopo, e dissi che sarei andata perfino dal Santo Padre, se Monsignore non mi avesse permesso di entrare nel Carmelo a quindici anni.
147 – Molti eventi accaddero prima del mio viaggio a Bayeux; al di fuori la vita mia pareva la stessa, studiavo, prendevo lezioni di disegno con Celina, e la mia abile maestra mi attribuiva molta disposizione per quell’arte. Soprattutto crescevo nell’amore del buon Dio, sentivo nel mio cuore degli slanci sconosciuti fino allora, talvolta avevo dei veri impeti d’amore. Una sera, non sapendo come dire a Gesù che lo amavo, e quanto desideravo ch’egli fosse amato e glorificato dovunque, pensai con dolore ch’egli non avrebbe mai potuto ricevere un solo atto d’amore dall’inferno; allora dissi al buon Dio che, per fargli piacere, avrei acconsentito a vedermi sprofondata là, affinché egli fosse amato eternamente in quel luogo di bestemmia… Sapevo che questo non avrebbe potuto glorificare Dio, poiché egli desidera la nostra felicità, ma, quando si ama, si prova il bisogno di dire mille follie; parlavo in quel modo, non già perché non avessi la brama del Cielo, ma allora il mio Cielo, proprio mio, non era altro che l’Amore, e sentivo come san Paolo che niente avrebbe potuto distaccarmi da Dio che mi aveva rapita.
148 – Prima di lasciare il mondo, il buon Dio mi dette la consolazione di contemplare da vicino delle anime di bimbi; essendo la più piccola in famiglia, non avevo mai avuto questa gioia, ed ecco le tristi circostanze che me la procurarono: una povera donna, parente della nostra cameriera, morì nel fiore dell’età lasciando tre figli piccolissimi; durante la malattia di lei prendemmo a casa nostra le due piccine – la maggiore non aveva sei anni! -; io me ne occupai per tutta la giornata, ed era un gran piacere per me vedere come esse credessero tutto quello che dicevo io. Bisogna pure che il santo Battesimo deponga nelle anime un germe ben profondo delle virtù teologali, poiché si rivelano fin dall’infanzia, e poiché la speranza dei beni futuri basta per fare accettare dei sacrifici. Quando volevo vedere le mie due bimbette molto concilianti una verso l’altra, invece di promettere giocattoli e dolci a quella che avrebbe ceduto di fronte alla sorella, parlavo loro delle ricompense eterne che Gesù Bambino avrebbe dato, nel Cielo, ai bambini buoni; la maggiore, il cui intelletto cominciava a svilupparsi, mi guardava con occhi brillanti di gioia, mi faceva mille domande deliziose su Gesù Bambino e il suo Cielo bello, e mi prometteva con entusiasmo di cedere sempre a sua sorella; diceva che mai in vita sua avrebbe dimenticato ciò che le aveva detto la «signorina grande», mi chiamava così. Vedendo da vicino quelle anime innocenti, ho capito quale sventura sia di non formarle bene fin dal loro risveglio, allorché somigliano a una cera molle sulla quale si può imprimere la virtù, ma anche il male… ho capito ciò che Gesù ha detto nel Vangelo: «Che sarebbe meglio essere buttati in mare piuttosto che scandalizzare uno solo di quei bimbi». Ah! quante anime arriverebbero alla santità se fossero ben dirette!
149 – Lo so bene, il Signore non ha bisogno di nessuno per far l’opera sua, ma come permette a un giardiniere abile di coltivare piante rare e delicate, e gli dà le cognizioni necessarie per far ciò, riservando a sé la cura di fecondarle, così Gesù vuole essere aiutato nella sua divina cultura delle anime. Che cosa accadrebbe se un giardiniere maldestro non innestasse bene i suoi arbusti? Se non sapesse riconoscere la natura di ciascuno e volesse far sbocciare delle rose sopra un pesco? Farebbe morir l’albero che tuttavia era buono e atto a produrre frutti. Così bisogna sapere riconoscere fin dall’infanzia ciò che il buon Dio chiede alle anime, e assecondare l’azione della sua grazia, senza mai precorrerla né rallentarla. Come gli uccellini imparano a cantare ascoltando i loro genitori, così i figli imparano la scienza della virtù, il canto sublime dell’amor divino, dalle anime che dovranno formarli alla vita. Ricordo che tra i miei uccellini c era un canarino che cantava a meraviglia e avevo anche un piccolo fanello al quale prodigavo le mie cure materne, poiché l’avevo adottato prima che avesse potuto godere della libertà. Questo povero prigioniero piccino piccino non aveva genitori che gli insegnassero a cantare, ma, ascoltando da mattina a sera il suo compagno canarino che gorgheggiava gioiosamente, volle imitarlo. Era un’impresa difficile per un fanello, e così la sua voce dolce ebbe un bel daffare per accordarsi con la voce vibrante del musico maestro. Era incantevole assistere ai tentativi del piccolino, eppure da ultimo ebbero un buon successo, perché il canto suo, pur conservando una ben maggiore dolcezza, fu assolutamente lo stesso di quello del canarmo. Oh, Madre mia cara! E lei che mi ha insegnato a cantare… è la voce sua che mi ha affascinata fin dall’infanzia ed ora ho la consolazione di sentir dire che le somiglio! So quanto ne sono ancora lontana, ma spero, nonostante la mia debolezza, ripetere eternamente lo stesso cantico suo.
150 – Prima che entrassi al Carmelo, ebbi ancora varte esperienze riguardo alla vita e alle miserie del mondo, ma questi particolari mi trascinerebbero troppo lontana; riprenderò il racconto della mia vocazione. Il 31 ottobre fu il giorno fissato per il mio viaggio a Bayeux. Partii sola con Papà, pieno il cuore di speranza, ma anche di emozione per la prospettiva di presentarmi al vescovado. Per la prima volta in vita mia avevo da fare una visita senza essere accompagnata dalle mie sorelle, e si trattava della visita a un Vescovo. Io, che non provavo mai il bisogno di parlare se non per rispondere alle domande rivoltemi, dovevo spiegare io stessa lo scopo della mia visita, chiarire le ragioni che mi facevano chiedere l’ingresso nel Carmelo; insomma, dovevo dimostrare la solidità della mia vocazione. Quanto mi costò fare quel viaggio! Bisognò che il buon Dio mi concedesse una grazia ben particolare perché io potessi superare la mia grande timidezza. È vero altresì che «mai l’Amore trova impossibile, perché si crede tutto possibile e tutto permesso». Era davvero il solo amore di Gesù che poteva farmi vincere quelle difficoltà e quelle che seguirono, perché egli si compiacque di farmi pagare la vocazione a prezzo di grandi prove. Oggi che godo la solitudine del Carmelo («riposandomt all’ombra di Colui che ho desiderato con tanto ardore»), mi pare di aver conseguito la mia felicità a prezzo lievissimo, e sarei pronta a sopportare sofferenze molto più gravi per conquiderla, se non la possedessi ancora!
151 – Pioveva a torrenti quando arrivammo a Bayeux; Papà non voleva veder la sua reginetta entrare nel vescovado con la sua bella toilette tutta intrisa, e perciò la fece salire sopra un omnibus, fino alla cattedrale. Là cominciarono i guai: Monsignore e tutto il clero assistevano a un funerale solenne. La chiesa era piena di signore in lutto e tutti guardavano me, il mio vestito chiaro e il cappello bianco; avrei voluto uscir dalla chiesa, ma non c’era da pensarci a causa della pioggia, e per umiliarmi ancor più il buon Dio permise che Papà, nella sua semplicità patriarcale, mi facesse arrivare fino in cima alla cattedrale; non volendo fargli dispiacere, mi risolsi a farlo con buon garbo e procurai quella distrazione ai bravi abitanti di Bayeux che avrei desiderato non aver mai incontrati… Potei finalmente respirare a modo mio in una cappella dietro all’altar maggiore, e mi ci trattenni lungo tempo, pregando con fervore, mentre aspettavamo che spiovesse, e ci fosse possibile uscire. Attraversando di nuovo la chiesa, Papà mi fece ammirare la bellezza dell’architettura, lo spazio pareva più ampio ora che era vuoto, ma quanto a me, un pensiero unico mi dominava, e io non potevo prender gusto a nulla. Andammo direttamente da Mons. Révérony, il quale era edotto del nostro arrivo, poiché aveva fissato egli stesso il giorno del viaggio; ma non c’era. Fummo costretti, perciò, a vagare per le strade, che mi parvero ben tristi; finalmente ritornammo verso la curia, e Papà mi fece entrare in un bell’albergo ove non feci onore al bravo cuoco. Povero caro Babbo mio, aveva per me una tenerezza quasi incredibile, mi diceva di non affliggermi, ché certamente Monsignore avrebbe acconsentito.
152 – Ci riposammo, poi tornammo da Mons. Révérony; nello stesso tempo arrivò un signore, ma il vicario generale gli chiese gentilmente di volere attendere, e ci fece entrare per primi nel suo studio (quel povero signore ebbe il tempo di annoiarsi, perché la visita fu lunga). Mons. Révérony si mostrò molto amabile, ma credo che il motivo del nostro viaggio lo meravigliò assai; dopo avermi guardata sorridendo, e avermi fatto qualche domanda, ci disse: «Vi presenterò a Monsignor Vescovo, vogliate seguirmi». Vedendo che avevo le lacrime agli occhi, mi disse: «Ah!… vedo dei diamanti… non bisogna mostrarli a Monsignor Vescovo!». Ci fece attraversare varie stanze ampie, ornate da ritratti di vescovi; vedendomi in quei saloni, mi facevo l’effetto di una formica piccina piccina, e mi domandavo cosa avrei saputo dire a Monsignor Vescovo; egli passeggiava in mezzo a due sacerdoti in una galleria, vidi Mons. Révérony che gli diceva qualche parola, poi tornarono verso noi. Noi attendevamo nello studio; tre poltrone enormi erano collocate davanti al camino, e il fuoco era vivace ed alto. Vedemmo entrare Sua Eccellenza, Papà si inginocchiò accanto a me per ricevere la benedizione, poi Monsignor Vescovo fece accomodare Papà in una poltrona, si mise egli stesso di faccia a lui, e Mons. Révérony volle farmi occupare la poltrona in mezzo; rifiutai gentilmente, ma insistette, dicendomi di far vedere se sapevo obbedire; mi sedetti subito senza altre riflessioni ed ebbi la confusione di vedere che lui prendeva una sedia, mentre io mi trovavo sprofondata in un seggio nel quale sarebbero state comodamente ben quattro come me (più comode di me, perché io ero ben lungi dal sentirmi tale!). Speravo che Papà cominciasse a parlare, ma invece mi disse di spiegare io stessa a Monsignore lo scopo della nostra visita; lo feci con tutta la possibile eloquenza, ma “a Grandeur”, abituato all’eloquenza non parve gran che commosso dai miei ragionamenti; in sostituzione di questi, una parola sola del reverendo superiore mi avrebbe giovato di più; sventuratamente non ne potevo produrre, ed anzi l’opposizione di lui non patrocinava certo la mia causa.
153 – Monsignor Vescovo mi domandò se da lungo tempo aspiravo al Carmelo. «Oh, si, Eccellenza, da ben lungo tempo». – «Vediamo – rispose ridendo Mons. Révérony – non potrà dirci che ha questo desiderio da quindici anni». – «E vero – risposi sorridendo anch’io – ma non ci sono molti anni da defalcare, perché ho desiderato farmi religiosa fin dal risveglio del mio intelletto, e ho desiderato il Carmelo, appena l’ho conosciuto bene, perché trovavo che, in quell’Ordine, sarebbero appagate tutte le aspirazioni dell’anima mia». Non so, Madre mia, se dissi proprio così, credo di essermi spiegata anche peggio, ma insomma il senso era questo. Monsignor Vescovo, credendo di far piacere a Papà, cercò di farmi trattenere ancora qualche anno presso di lui, e rimase non poco stupito ed edificato vedendo che Papà stesso abbracciava la mia causa e intercedeva affinché ottenessi il permesso di volar via a quindici anni. Tuttavia, tutto fu vano; il Vescovo disse che, prima di decidere, gli era necessario un colloquio col Superiore del Carmelo. Io non potevo ascoltare parola più penosa, perché conoscevo l’opposizione netta di Nostro Padre, perciò, senza tener conto della raccomandazione di Mons. Révérony, feci ben più che mostrare i miei diamanti a Monsignor Vescovo, gliene detti e quanti! Vidi che era commosso: mi fece appoggiare la testa sulla sua spalla e mi confortò con tanta bontà come – pare – non aveva fatto mai con nessun altro. Mi disse che tutto non era perduto, che egli era ben contento del mio viaggio a Roma: avrei potuto assodare la mia vocazione, e intanto dovevo rallegrarmi invece di piangere; aggiunse che la settimana seguente egli stesso, poiché doveva andare a Lisieux, avrebbe parlato col reverendo parroco di San Giacomo, e certamente io avrei ricevuto la sua risposta in Italia. Capii che era inutile insistere, del resto non avevo altro da dire, poiché avevo esaurito tutte le risorse della mia eloquenza.
154 – Monsignor Vescovo ci riaccompagnò fino al giardino, Papà lo divertì molto raccontandogli che mi ero fatta tirar su i capelli per sembrargli più grande di età… (E ciò non andò perduto perché Monsignor Vescovo non parla della sua «figlioletta» senza raccontare la storia dei capelli…). Mons. Révérony ci volle accompagnare fino in fondo al giardino, e disse a Papà che una cosa simile non si era mai vista: «Un padre altrettanto premuroso di dar sua figlia al Signore, quanto questa fanciulla lo era di offrir se stessa!». Papà gli domandò varie spiegazioni riguardo al pellegrinaggio, tra l’altro in qual modo bisognava vestirsi per comparire dinanzi al Santo Padre. Lo vedo ancora voltarsi a Mons. Révérony dicendogli: «Sto abbastanza bene così?…». Aveva anche detto a Monsignor Vescovo che, se non mi avesse permesso di entrare nel Carmelo, io avrei chiesto questa grazia al Sommo Pontefice. Era ben semplice nelle parole e nei modi, il mio caro Re, ma era tanto bello… aveva una distinzione proprio naturale che dovette piacere molto a Monsignor Vescovo, avvezzo a vedersi circondato da personaggi i quali conoscevano tutte le regole in uso nei salotti, ma non il «Re di Francia e di Navarra» in persona, con la sua «reginetta».
155 – Quando mi trovai per la strada, le lacrime ricominciarono, non tanto a causa del dispiacere mio, quanto perché vedevo il mio Babbo carissimo che aveva fatto un viaggio inutile. Lui si sarebbe fatta una festa di mandare al Carmelo un telegramma per annunciare la risposta favorevole di Monsignor Vescovo: e ora, invece, era costretto a rincasare senza risposta alcuna… Com’ero addolorata! Mi pareva che l’avvenire fosse spezzato per sempre; più mi avvicinavo al termine, più vedevo le faccende imbrogliarsi. L’anima era sommersa nell’amarezza, ma anche nella pace, perché cercavo soltanto la volontà di Dio. Appena arrivata a Lisieux, andai a cercar conforto al Carmelo, e lo trovai da lei, Madre mia cara. Oh, non dimenticherò mai tutto quello che lei ha sofferto per causa mia. Se non temessi di profanarle, userei le parole che Gesù rivolgeva agli Apostoli, la sera della Passione: «Siete voi che siete stati sempre con me in tutte le mie prove…». Le mie dilette sorelle mi offersero delle dolci consolazioni.
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